domingo, 21 de agosto de 2011

Armageddon

La crisi economica internazionale non è mai stata così forte; nei suoi recenti appelli al Congresso e alla nazione americana il Presidente degli Stati Uniti non ha usato giri di parole ma è andato dritto al cuore della questione, evocando addirittura l’Armageddon, l’apocalisse economica.
Anche in Italia, dove la credibilità del governo e del suo massimo rappresentante sono scese ultimamente ai minimi termini, è stato il Presidente della Repubblica ad intervenire in prima persona con un vibrante appello al senso di responsabilità dei partiti e del Parlamento per l’approvazione in tempi record di una manovra finanziaria del valore di 70 miliardi di euro in due anni.
L’opposizione ha accolto questo invito, concordando sui tempi rapidi ma non sui contenuti di una manovra che penalizza fortemente le fasce più deboli della popolazione, non taglia i costi e gli sprechi della politica, moltiplica le tasse e non dà all’economia quella ‘scossa’ annunciata dal governo qualche mese fa, evitando di fare le riforme e le liberalizzazioni necessarie.
Sullo sfondo una crisi finanziaria europea che vede da alcuni anni la moneta unica, l’Euro, al centro di ripetuti attacchi speculativi; attacchi che hanno già travolto le economie di Paesi minori, come la Grecia e l’Irlanda, ma che in un prossimo futuro potrebbero estendersi anche a Paesi ed economie maggiori come l’Italia. Per evitare ciò non è sufficiente “fare bene i compiti per casa”, ossia mantenere i conti in ordine e i saldi di bilancio al di sotto dei parametri europei.
Per allontanare lo spettro del ‘default’ e la crisi inarrestabile dell’euro sono necessarie altre condizioni: innanzitutto una forte e decisa politica comune europea; il ripiegamento dei governi europei sulle questioni di politica interna e la mancanza di una politica continentale di ampio respiro costituiscono infatti il primo elemento di debolezza e di vulnerabilità dell’Unione Europea e della moneta unica. A questo proposito mi sembra interessante la proposta, avanzata da esponenti autorevoli della politica e dell’economia, di lanciare degli ‘eurobond’, dei titoli europei con la funzione specifica di costruire un fondo di sicurezza per eventuali crisi finanziarie dei Paesi membri. Purtroppo manca oggi in Europa una guida comune forte e autorevole; manca a livello europeo come nei principali Paesi dell’Unione. Manca in particolare una comune politica estera e di difesa, che insieme alla politica economica dovrebbero costituire i capisaldi del rafforzamento strategico e definitivo dell’Unione Europea.
Coordinamento e stabilità, quindi. Princìpi ai quali non tutti i paesi europei si sono attenuti in questo ultimo decennio, aprendo le porte ai rischi della speculazione economica e finanziaria.
“Tutti i motivi che spiegano l’attuale crisi si riassumono in realtà in uno solo”, hanno scritto sul quotidiano francese ‘Le Monde’ gli ex Presidenti dell’’Unione Europea Jacques Delors e Romano Prodi: “l’assenza di una visione chiara delle sfide da parte di uomini politici che impegnino le loro responsabilità per consentire di superare le difficoltà immediate”. Una visione apparentemente pessimista, che però si conclude con un appello alla coesione e al rilancio dell’idea europea, nella convinzione che l’Euro “sopravviverà a questa crisi e ne uscirà più forte”.
E’ la speranza di quanti credono che anche questa volta sarà l’Europa ad uscire vittoriosa indicando l’unico cammino possibile per uscire dalla crisi. Come all’indomani del dopoguerra, negli anni cinquanta, e della caduta del muro di Berlino, negli anni novanta.
Affrontare questa situazione non significa soltanto percorrere una strada fatta di tagli e sacrifici. A questa crisi si risponde con una classe politica e di governo all’altezza della sfida epocale citata da Obama nel suo accorato appello al Congresso degli USA. Condizioni lontane dall’Italia di oggi, dove una classe politica in deficit di consensi (anche a causa di una legge elettorale che elegge i parlamentari italiani in liste bloccate e quindi non scelte dagli elettori) ed un governo ai minimi termini della propria credibilità interna e internazionale (a causa degli scandali e dei processi che hanno coinvolto il Presidente del Consiglio) non saranno mai in grado di traghettare il Paese al di là delle colonne d’Ercole della crisi internazionale. Non basterà quindi un nuovo governo per risollevare le sorti dell’Italia; ciò che occorre è una nuova classe dirigente e, probabilmente, una nuova politica.

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