quarta-feira, 25 de fevereiro de 2009

LA DOLCE RIVOLUZIONE DEI PENDOLARI

Da qualche mese sono diventato un “pendolare”; i pendolari, per chi non lo sapesse, sono quelle persone che – per le più svariate esigenze, ma solitamente per lavoro – fanno avanti e indietro tra la loro città di residenza e il luogo dove svolgono l’attività lavorativa; “pendolano”, appunto, da un luogo all’altro.
Il mio è però un pendolarismo del tutto particolare. Non si tratta nel mio caso di andare e venire tra una città ed un’altra, ma tra una nazione ed un’altra; anzi, tra un continente e l’altro.
Ovviamente mi riferisco al pendolarismo tra Italia e Brasile; una situazione oggi comune (anche se con ritmi e frequenze diverse a seconda dei casi) a centinaia di persone, principalmente uomini di affari o addetti al turismo.
E cosa si scopre “pendolando”? Niente di straordinario per chi, come tanti italiani e oriundi che vivono in Brasile, ha già vissuto questo strano e contraddittorio dualismo, che consiste nel sentirsi al tempo stesso forestiero nella propria patria e nel paese straniero. Un sentimento che ti fa spesso apprezzare cose che prima non notavi, o davi per scontate, e che improvvisamente assumono per te una importanza straordinaria. Ad un tratto sembra che quel sorriso o quella maniera di parlare sia la cosa più bella del mondo, o che mai e poi mai potresti continuare a vivere senza quegli odori e quei sapori. Ed il bello è che quel sorriso sta da una parte del continente mentre quei sapori stanno dall’altra parte, o viceversa; in una parola: ci mancherà sempre qualcosa, ovunque ci troviamo.
Ma, forse - ed è questa la semplice riflessione che vorrei sviluppare - le cose stanno proprio al contrario. Chi vive a cavallo tra due mondi, come anche chi ha diviso la propria esistenza tra due nazioni, si porta dietro una ricchezza unica e incommensurabile: lingue e culture diverse, ma anche valori e tradizioni, usi e costumi di popoli lontani che questa sorta di ‘transumanza’ (il passaggio cioè nel tempo e nello spazio) riesce magicamente a trasformare in una vera e propria ricchezza in grado di fare crescere e sviluppare interi Paesi e continenti.
Cosa sarebbe l’Italia senza le salutari contaminazioni di popoli, razze ed etnie diverse che nel corso di millenni ne hanno caratterizzato la storia, contribuendo a costruire quel Paese che oggi è da tutti considerato la culla dell’arte e della cultura mondiale?
E cosa sarebbe il Brasile senza il continuo mescolarsi di razze e religioni che ne hanno caratterizzato i tanti secoli della sua storia, facendolo divenire proprio per questa incredibile varietà di culture e colori forse il Paese al mondo più realmente multietnico e interrazziale?
Ecco allora la universale magia dell’emigrato, dell’oriundo, del pendolare: portare dentro di sé e offrire al mondo che ci circonda un universo di valori ed un contesto di riferimento singolare e sfaccettato, una mentalità aperta e flessibile in grado di superare anacronistici steccati e insuperabili divisioni.
La morale di tutto ciò è che il mondo è “complementare” e non autosufficiente.
Immaginate che monotonia un mondo tutto uguale all’Italia o al Brasile, alla Svizzera o all’Argentina. Nessuno però saprebbe immaginare un mondo senza le singole specificità culturali che questi Paesi hanno apportato; non solo, la storia ci ha insegnato che quando queste culture si incontrano i frutti che ne derivano sono dei veri e propri miracoli dello sviluppo e del cambiamento. E’ il miracolo della vita, che chi ha avuto la fortuna di conoscere e a volte di vivere sulla propria pelle o in famiglia può tranquillamente testimoniare ogni giorno.
Sbaglierebbe sonoramente chi a questo punto dovesse affermare che la tesi appena sostenuta sia ovvia e scontata. Sono stato recentemente in Argentina dove ho sentitto un candidato alla Presidenza della Repubblica inneggiare alla ‘purezza della razza’ e alla difesa della nazione da etnie straniere; e in Italia non è purtroppo inconsueto ascoltare – anche in Parlamento – discorsi sui pericoli provenienti dall’apertura del Paese agli stranieri e sulla inutilità del rapporto con le nostre comunità residenti all’estero.
E’ per questo che a volte è necessario ribadire a gran voce (in questo caso scrivere) princìpi e concetti che apparentemente farebbero parte dei valori consolidati in tutto il mondo; fare ciò equivale a volte ad aprire dei pericolosi varchi al seme del razzismo e dell’intolleranza.
Italiani e brasiliani abbiamo avuto la fortuna di nascere e crescere in due Paesi storicamente caratterizzati dalla loro apertura al mondo e dai grandi livelli di integrazione e solidarietà.
Dovremmo esserne orgogliosi e non dimenticarcene mai !