tag:blogger.com,1999:blog-26541240877618813642024-03-08T07:35:28.031-08:00Blog Ufficiale del Deputato Fabio PortaFabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.comBlogger33125tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-39975530943995791102012-02-25T11:20:00.000-08:002012-02-25T11:21:21.770-08:00UNO STRANO GOVERNOIn più di una occasione il presidente del Consiglio Mario Monti per definire il suo governo tecnico si è lasciato scappare l’aggettivo «strano»; si riferiva, ovviamente, all’anomala maggioranza che lo sostiene (Partito Democratico, Popolo delle Libertà, Terzo Polo) ma anche alle caratteristiche ‘tecniche’ e non politiche dei componenti l’esecutivo. Il Presidente del Consiglio ha reagito con un'espressione di incredulità e sorpresa, quando il conduttore di una nota trasmissione televisiva italiana gli ha chiesto se dopo questa esperienza strana di governo (o di governo strano) egli intenda «non fare più politica». «Vuol dire che quella che sto facendo adesso è politica?», gli ha chiesto a sua volta il presidente del Consiglio rivendicando il merito, o il proposito, di fare con il suo governo soltanto da «intercapedine» fra l'opinione pubblica e i partiti. Che si sono un po', o un po' troppo, «divaricati» in questi ultimi anni. Una divaricazione che ha raggiunto il suo apice con la legge elettorale che ha tolto ai cittadini il potere di scegliere i propri rappresentanti al Parlamento (con eccezione di quelli eletti all’estero) e con i tre anni dell’ultimo Governo Berlusconi. Questa situazione, e non soltanto la grave crisi economica, spiega la determinazione con la quale il Governo sta intervenendo sulla riduzione dei cosiddetti “costi della politica”. In una intervista al giornale della Confindustria Il Sole 24 ore Monti ha poi detto chiaramente che “non si può derogare all'obbligo di ridurre finalmente i costi del sistema politico burocratico”. “Il governo - ha avvertito - prenderà presto misure forti”. Ed ha aggiunto che “il lavoro è a buon punto”. Ed effettivamente, anche grazie alla collaborazione delle Presidenze di Camera e Senato e alla sensibilità e disponibilità dei maggiori partiti italiani, i tagli e le riduzioni dei costi della politica sono già iniziati e in maniera significativa. Il Presidente del Consiglio (peraltro senatore anche lui, e a vita, da circa due mesi) ha compreso che un segnale in questo senso va dato al Paese. Non occorre cavalcare l’anti-politica: un confronto fra gli stanziamenti destinati alle Camere italiane e quelli destinati agli altri Parlamenti in Europa ci dice infatti che l’Italia non ha il Parlamento più costoso. E pochi sanno che il Parlamento più “caro del mondo” è proprio quello brasiliano. Il vero “costo della politica” è quello costituito dalla sua inefficienza, dalla sua scarsa produttività, dalla lentezza che troppo spesso ne contraddistingue le sue scelte.<br />In questa direzione l’Italia deve agire e presto, a partire dalla modificazione radicale del sistema “bicamerale perfetto”, vale a dire dal doppione rappresentato dai lavori parlamentari di Camera e Senato che si traduce in un raddoppio di tempi (e costi) non più sostenibile e comprensibile in un mondo globalizzato come il nostro, che richiederebbe invece anche dal legislativo tempi rapidi e risposte urgenti.<br />Se questo nuovo “strano” esecutivo, che oggi ha davanti circa un anno di lavoro fino alle prossime elezioni del 2013, riuscirà ad introdurre con il consenso della maggioranza del Parlamento le opportune modifiche costituzionali funzionali alla modernizzazione del nostro sistema istituzionale (comprensiva della riduzione del numero dei parlamentari e della riforma della legge elettorale), Mario Monti e i suoi colleghi potranno essere ricordati come i protagonisti di una importante stagione politica: la stagione che darà vita alla “Terza Repubblica”. La prima era nata all’indomani della seconda guerra mondiale e si è estesa fino alla fine degli anni ottanta, alla vigilia del ciclone “Mani Pulite” e della successiva riforma in senso maggioritario del sistema elettorale; la seconda è stata caratterizzata da una radicale contrapposizione tra centro-destra e centro-sinistra e, soprattutto, dall’irrompere sulla scena politica italiana di Berlusconi e del “berlusconismo”.<br />Una “Terza Repubblica” restituirebbe dignità e sovranità al popolo italiano e riporterebbe la politica al ruolo centrale che le spetta in un sistema democratico.<br />Il Governo Monti ha già restituito credibilità internazionale all’Italia; il nostro Paese, dopo gli anni bui e le umiliazioni internazionali sofferte da Berlusconi (e non solo per il ‘bunga-bunga’…), è oggi al centro della difficile ma possibile ripresa economica dell’Unione Europea. Un fatto fino a pochi mesi fa impensabile.<br />Una scommessa difficile, quella di questo “strano governo”: rilanciare l’economia italiana e restituire centralità alla politica. Una sfida quasi impossibile che forse solo uno “strano governo” può affrontare e vincere.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-49021624227878218092011-08-21T09:11:00.000-07:002011-08-21T09:12:06.996-07:00ArmageddonLa crisi economica internazionale non è mai stata così forte; nei suoi recenti appelli al Congresso e alla nazione americana il Presidente degli Stati Uniti non ha usato giri di parole ma è andato dritto al cuore della questione, evocando addirittura l’Armageddon, l’apocalisse economica.
<br />Anche in Italia, dove la credibilità del governo e del suo massimo rappresentante sono scese ultimamente ai minimi termini, è stato il Presidente della Repubblica ad intervenire in prima persona con un vibrante appello al senso di responsabilità dei partiti e del Parlamento per l’approvazione in tempi record di una manovra finanziaria del valore di 70 miliardi di euro in due anni.
<br />L’opposizione ha accolto questo invito, concordando sui tempi rapidi ma non sui contenuti di una manovra che penalizza fortemente le fasce più deboli della popolazione, non taglia i costi e gli sprechi della politica, moltiplica le tasse e non dà all’economia quella ‘scossa’ annunciata dal governo qualche mese fa, evitando di fare le riforme e le liberalizzazioni necessarie.
<br />Sullo sfondo una crisi finanziaria europea che vede da alcuni anni la moneta unica, l’Euro, al centro di ripetuti attacchi speculativi; attacchi che hanno già travolto le economie di Paesi minori, come la Grecia e l’Irlanda, ma che in un prossimo futuro potrebbero estendersi anche a Paesi ed economie maggiori come l’Italia. Per evitare ciò non è sufficiente “fare bene i compiti per casa”, ossia mantenere i conti in ordine e i saldi di bilancio al di sotto dei parametri europei.
<br />Per allontanare lo spettro del ‘default’ e la crisi inarrestabile dell’euro sono necessarie altre condizioni: innanzitutto una forte e decisa politica comune europea; il ripiegamento dei governi europei sulle questioni di politica interna e la mancanza di una politica continentale di ampio respiro costituiscono infatti il primo elemento di debolezza e di vulnerabilità dell’Unione Europea e della moneta unica. A questo proposito mi sembra interessante la proposta, avanzata da esponenti autorevoli della politica e dell’economia, di lanciare degli ‘eurobond’, dei titoli europei con la funzione specifica di costruire un fondo di sicurezza per eventuali crisi finanziarie dei Paesi membri. Purtroppo manca oggi in Europa una guida comune forte e autorevole; manca a livello europeo come nei principali Paesi dell’Unione. Manca in particolare una comune politica estera e di difesa, che insieme alla politica economica dovrebbero costituire i capisaldi del rafforzamento strategico e definitivo dell’Unione Europea.
<br />Coordinamento e stabilità, quindi. Princìpi ai quali non tutti i paesi europei si sono attenuti in questo ultimo decennio, aprendo le porte ai rischi della speculazione economica e finanziaria.
<br />“Tutti i motivi che spiegano l’attuale crisi si riassumono in realtà in uno solo”, hanno scritto sul quotidiano francese ‘Le Monde’ gli ex Presidenti dell’’Unione Europea Jacques Delors e Romano Prodi: “l’assenza di una visione chiara delle sfide da parte di uomini politici che impegnino le loro responsabilità per consentire di superare le difficoltà immediate”. Una visione apparentemente pessimista, che però si conclude con un appello alla coesione e al rilancio dell’idea europea, nella convinzione che l’Euro “sopravviverà a questa crisi e ne uscirà più forte”.
<br />E’ la speranza di quanti credono che anche questa volta sarà l’Europa ad uscire vittoriosa indicando l’unico cammino possibile per uscire dalla crisi. Come all’indomani del dopoguerra, negli anni cinquanta, e della caduta del muro di Berlino, negli anni novanta.
<br />Affrontare questa situazione non significa soltanto percorrere una strada fatta di tagli e sacrifici. A questa crisi si risponde con una classe politica e di governo all’altezza della sfida epocale citata da Obama nel suo accorato appello al Congresso degli USA. Condizioni lontane dall’Italia di oggi, dove una classe politica in deficit di consensi (anche a causa di una legge elettorale che elegge i parlamentari italiani in liste bloccate e quindi non scelte dagli elettori) ed un governo ai minimi termini della propria credibilità interna e internazionale (a causa degli scandali e dei processi che hanno coinvolto il Presidente del Consiglio) non saranno mai in grado di traghettare il Paese al di là delle colonne d’Ercole della crisi internazionale. Non basterà quindi un nuovo governo per risollevare le sorti dell’Italia; ciò che occorre è una nuova classe dirigente e, probabilmente, una nuova politica.
<br />
<br />Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-52598604741839448642011-03-29T09:41:00.000-07:002011-03-29T09:42:00.127-07:00PRIMAVERA NORDAFRICANAL’Italia vista dall’Africa è piccola, e la Sicilia è più vicina a Tunisi che a Roma: queste considerazioni mi tornavano spesso in mente in questi giorni, assistendo alle rivoluzioni dei popoli nordafricani contro regimi che da venti o quaranta anni avevano impedito il ricambio democratico della classe politica al potere.<br />E’ successo in Tunisia con la caduta di Ben Ali, in Egitto con Mubarak, in Libia con Gheddafi.<br />Paesi vicini anche se diversi, accomunati da una comune aspirazione della giovani generazioni (che in queste nazioni rappresentano oltre il cinquanta per cento della popolazione !) alla democrazia ed alla libertà.<br />Non rivoluzioni fondamentaliste o islamiche quindi, anche se spesso il grido di vittoria che giunge alle nostre attente orecchie è quello di “Allah è grande !”.<br />Rivoluzioni che guardano più ad occidente che ad oriente, più ad Obama che a Bin Laden; un dato di fatto che dovrebbe farci riflettere e aumentare il nostro senso di responsabilità rispetto alla necessaria e utile cooperazione con Paesi che – per quanto vicini e pressoché “confinanti” con l’Italia (sia pure si tratti di un confine marino) – non abbiamo mai voluto considerare come partners naturali, o meglio ancora come la naturale estensione meridionale della nostra piccola e vecchia Europa.<br />Ancora una volta è stato un leader politico d’oltreoceano, il Presidente Obama, a rivolgersi per primo e con parole nuove - parole di apertura, ottimismo e speranza - a questi popoli.<br />Sbaglieremmo infatti a non collegare i fatti di questi giorni con lo storico e coraggioso discorso pronunciato un anno fa proprio al Cairo da Barack Obama: a insorgere sono state quelle stesse giovani generazioni arabe che si erano riversate sulla piazza della capitale egiziana per ascoltare le parole del primo Presidente nero degli Stati Uniti d’America.<br />Ci sbaglieremmo ugualmente, però, se pensassimo che questi giovani si rivolgano all’occidente in maniera asettica e acritica; al contrario: a noi occidentali le rivoluzioni del nord dell’africa chiedono la fine dei cinici accordi con dittatori o leader da noi comodamente considerati “moderati” perché accondiscendenti e flessibili (con noi, non certo con i loro popoli); a noi “potenze occidentali” si chiede il sostegno alla lotta per la democrazia e la libertà, nel pieno rispetto delle loro culture e delle loro tradizioni, laiche e religiose.<br />Israele in questo momento appare perplesso e indeciso: da un lato forse preoccupato dalla caduta di leader vicini “moderati” ma dall’altro speranzosa che le rivoluzioni si concludano con un esito democratico privo di pregiudizi religiosi e preconcette ostilità.<br />Anche in Italia si assiste con atteggiamento ambivalente a quanto succede sull’altra sponda del Mediterraneo. In questo caso l’indecisione è dovuta principalmente alla paura che il crollo della “diga” costituita dai regimi ‘amici’ di Tunisi, Tripoli e Il Cairo, porti con sè come prima conseguenza lo sbarco sulle nostre coste di centinaia di migliaia di profughi e immigrati clandestini.<br />La democrazia è sempre stata, storicamente, un processo e non un fatto compiuto.<br />Anche la massiccia emigrazione italiana della fine dell’ottocento e dell’inizio del novecento è stata in qualche modo collegata al processo di costruzione dello Stato italiano unitario; sarà anche grazie a quell’emigrazione di massa che si realizzerà in Italia il primo processo di modernizzazione del Paese. Ugualmente, la prima e la seconda guerra mondiale furono all’origine della seconda e della terza grande ondata migratoria; confermando, in questo caso, un’altra importante ma spesso dimenticata relazione: quella tra i conflitti bellici, le rivoluzioni e le ondate migratorie.<br />Silenzioso testimone di tutto ciò il Mare Mediterraneo, che dopo aver visto salpare da Napoli e Genova milioni di emigrati italiani assiste oggi, dai porti di Sfax o Bengasi, all’esodo di migliaia di giovani nordafricani verso le coste della Sicilia.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-55016455452549130082011-02-20T12:37:00.001-08:002011-02-20T12:38:15.687-08:00IL PAESE DEL 'BUNGA BUNGA'Ho provato piu’ volte, in questi giorni, a immaginare cosa sarebbe successo in Brasile se il Presidente Lula avesse avuto nel corso del suo mandato comportamenti simili a quelli (ormai mondialmente conosciuti) del capo del governo italiano, Berlusconi.<br />Come avrebbero reagito, per esempio, l’opinione pubblica brasiliana se Lula - dopo una intensa giornata di impegni istituzionali in Italia – avesse organizzato presso l’Hotel dove era ospitato un festino a luci rosse con tanto di danzatrici del ventre e streap-tease; o, ancora, cosa avrebbe scritto la stampa brasiliana se il loro Presidente fosse intervenuto presso la polizia di San Paolo per fare liberare una prostituta minorenne con la motivazione che si tratterebbe della “nipote di Obama o di Chavez”. L’ipotetico paragone potrebbe continuare con fatti o episodi ancora piu’ imbarazzanti: proviamo ad immaginare una lunga sequenza di “feste private” organizzate presso la ‘Granja do Torto’ alla presenza di decine di donne seminude lautamente compensate per la propria presenza… <br />Questo parallelismo mi aiuta ad esprimere un concetto importante; anzi, un principio, sancito dall’articolo 54 della Costituzione italiana: chi ricopre incarichi pubblici e’ tenuto ad adempiere al proprio dovere con “disciplina ed onore”. Non si tratta di interferire in maniera impropria e non dovuta sulla vita privata, sacra ed inviolabile, di qualunque cittadino (politici compresi), ma di esigere da chi ha responsabilita’ pubbliche e soprattutto di governo comportamenti e azioni consone al proprio mandato. <br />Da alcuni anni il confine tra la vita privata e quella pubblica di Silvio Berlusconi è diventato pericolosamente labile e melmoso, e questo non per la pruderie di alcuni giornali scandalistici o per l’ossessione di alcuni magistrati; sono gli evidenti e ripetuti eccessi del Presidente del Consiglio italiano a contribuire a questa situazione imbarazzante che negli ultimi mesi ha riportato sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo l’immagine stereotipata di un Paese poco serio e ormai abituato (forse rassegnato) ad essere governato da un personaggio sempre più folcloristico e grottesco.<br />“Il vostro capo del governo – mi ha recentemente detto un autorevole politico straniero - dà l’impressione di trascorrere le giornate difendendosi dai processi e le nottate in interminabili feste private; sarebbe interessante sapere – concludeva – quando trova (se lo trova) il tempo per governare !”<br />Sono convinto, tornando al parallelismo delle prime righe, che non solo in Brasile ma in qualsiasi altro Paese democratico una situazione del genere sarebbe sfociata nelle dimissioni del Primo Ministro, e questo non solo in ragione dei possibili reati connessi con tali fatti ma del generale e insopportabile discredito al quale le istituzioni sarebbero state pericolosamente esposte.<br />Altri due elementi aggravano il quadro appena descritto: il primo attiene alla sicurezza nazionale del Paese. Il capo del governo infatti non è un cittadino e nemmeno un politico comune; la sua residenza, per esempio, va protetta e tutelata da possibili attacchi o intrusioni esterne. Le vicende alle quali facciamo riferimento, al contrario, hanno dimostrato l’estrema vulnerabilità di tali abitazioni, esposte continuamente alla frequentazioni di personaggi equivoci e potenzialmente pericolosi. L’altro fattore è relativo all’immagine ed alla credibilità internazionale dell’Italia. Nel mondo globalizzato si tratta di caratteristiche determinanti al successo o alla debolezza del ‘Sistema Paese’ nel mondo, come sanno bene i nostri diplomatici, ultimamente occupati più a spiegare quanto succede nelle dimore private di Berlusconi che a promuovere il ‘made in Italy’.<br />Disciplina, Onore, Sicurezza, Credibilità: probabilmente per qualcuno si tratta ormai di parole e termini obsoleti, lontani dal lessico della politica italiana degli ultimi anni. Se così fosse ammetto allora di essere un “politico all’antica”, addirittura un nostalgico di quella che abbiamo ribattezzato come la “Prima Repubblica”, quella dove il rispetto per la bandiera e l’onore erano ancora valori forti e condivisi da tutti, indipendente dal fatto di trovarsi alla maggioranza o all’opposizione.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-39335348990264217502011-01-05T07:44:00.000-08:002011-01-05T07:45:13.334-08:00IL "CASO BATTISTI" TRA IPOCRISIA E VERITA'“Nel 2009, all’indomani dell’improvvida decisione dell’allora Ministro della Giustizia brasiliano di concedere lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti, ci mobilitammo in molti per evitare la scarcerazione del terrorista riprendendo nel contempo un’azione pressante di informazione diretta alle autorità brasiliane sui reali contorni della vicenda storico-politica e processuale che aveva portato alla condanna dello stesso Battisti da parte della magistratura italiana.<br />L’opinione pubblica italiana era comprensibilmente esterrefatta di fronte alla ventilata e possibile scarcerazione del terrorista e tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento si attivarono subito per levare alta la voce delle istituzioni repubblicane a difesa dello Stato di diritto e della democrazia che gli attentati cinici e violenti ai quali Cesare Battisti aveva partecipato tentarono negli anni ’70 di intimidire e destabilizzare.<br />Il Parlamento approvò così una mozione unitaria che riproponeva con forza la giusta e legittima richiesta italiana di chiedere al Brasile l’estradizione di Battisti e il sottoscritto insieme al Vice Presidente della Camera On. Maurizio Lupi si recò in missione ufficiale in Brasile per incontrare i nostri colleghi brasiliani.<br />Incontrammo l’allora Presidente della Camera ed oggi Vice Presidente del Brasile Michel Temer al quale, a nome del Parlamento italiano, rinnovammo tale invito, nel rispetto delle rispettive prerogative e con la ferma intenzione di mantenere saldi e forti gli storici legami tra i due Paesi.<br />Mentre il Parlamento faceva la sua parte il Capo del governo italiano incontrava per ben due volte il Presidente brasiliano Luis Inacio Lula da Silva; in nessuno dei due incontri avuti con il suo omologo brasiliano Silvio Berlusconi ha affrontato in maniera diretta e decisa la questione, come sarebbe stato opportuno e anche prevedibile che accadesse.<br />Gli interventi del Presidente del Consiglio e del governo sono avvenuti così soltanto a cose fatte e a rimorchio delle polemiche giornalistiche e delle proteste dell’opinione pubblica.<br />Il Parlamento e il Presidente della Repubblica hanno fatto sentire in maniera tanto chiara e forte quanto corretta e rispettosa la loro voce a riguardo; dall’altro lato il governo agiva con approssimazione e distrazione, più con l’arma della propaganda che con azioni e gesti mirati.<br />A seguito dell’ultima decisione dell’ex Presidente del Brasile, ritengo che – come autorevolmente ha sostenuto l’insigne giurista Antonio Cassese – “una possibile soluzione possa essere trovata soltanto se Italia e Brasile, insieme, con intelligenza, collaborazione e civiltà, rinunceranno alla propaganda per scegliere insieme un percorso di giustizia e maturità politica”.<br />In questo senso la proposta di creare una Commissione di Conciliazione tra Italia e Brasile come previsto dall’accordo del 1954 e sotto l’egida del Tribunale de L’Aja potrebbe rappresentare una strada utile ad una seria soluzione della controversia.<br />I rapporti tra l’Italia e il Brasile sono molto più forti di una controversia legale, per quanto grave e delicata come questa: essi affondano le proprie radici nell’epopea di milioni di nostri connazionali che nel corso di oltre un secolo hanno scelto quel Paese come la loro nuova terra; oggi sono oltre trenta milioni i brasiliani di origine italiana e ad unirci è sempre più il futuro dei nostri due Paesi, non più soltanto il nostro comune passato.<br />E’ per questo che il “caso Battisti” può e deve costituire un punto di partenza per riaprire e riavviare questo fruttuoso e necessario dialogo; non piuttosto un infausto punto finale di una storia gloriosa.<br />Sono certo che i due Presidenti della Repubblica, Giorgio Napolitano e Dilma Rousseff, sapranno essere con saggezza e lungimiranza gli artefici di questo auspicato e improrogabile nuovo inizio.”Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-43091354088135237142010-12-11T10:36:00.000-08:002010-12-11T10:36:43.462-08:00TG1 - Brasile. Dilma Rousseff primo presidente donna<a href="http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-da295f5f-e4ab-4e58-8898-2393ca7d7ac5.html#p1">TG1 - Brasile. Dilma Rousseff primo presidente donna</a>Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-48135329150133006522010-11-30T07:23:00.000-08:002010-11-30T07:27:01.342-08:00LA POLITICA DEL “FAIR PLAY”Può esistere un nesso tra impegno politico e pratica sportiva?<br /><br />Non sono mai stato, né mi sono mai sentito un “politico di professione”; eppure ho sempre fatto politica, magari a volte senza esserne pienamente consapevole, da quando bambino sono stato prima ‘lupetto’ e poi ‘scout’, poi ancora dirigente locale e nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, quindi obiettore di coscienza (al servizio militare) in servizio civile alternativo, sindacalista e cooperante (responsabile per programmi di cooperazione internazionale allo sviluppo).<br />Ero attratto, anche per questioni familiari (un fratello Vice Sindaco, un papà sindacalista, uno zio Presidente di Regione…), dall’arte della politica, ma al tempo stesso diffidavo dagli intrighi e dalle liti, dagli accordi sottobanco e dalle discussioni infinite e a volte senza risultato alcuno tipiche della politica.<br />Ad un certo punto, avevo 14 anni, pensavo che il mio futuro fosse nello sport; facevo parte di una squadra di pallavolo e per tre anni credo di avere trascorso più tempo in palestra che sui libri.<br />Al liceo le cose andarono diversamente: lo studio e gli impegni associativi ebbero la meglio su quelli agonistici, ma credo che la l’esperienza sportiva mi sia rimasta dentro e che abbia permeato anche il mio impegno politico.<br />La pallavolo è uno sport molto praticato dai giovani, in Italia come in Brasile, anche se purtroppo non gode dell’attenzione dei grandi mezzi di comunicazione di massa, e quindi delle risorse, che fanno del calcio (anche in questo caso: in Italia come in Brasile) lo sport più amato, praticato e ( $$$ ) sponsorizzato.<br />Due sono le caratteristiche che fanno del volley uno sport a mio parere straordinario: il fondamentale e necessario senso della squadra da un lato e la mancanza del contatto fisico con l’avversario dall’altro.<br />Nel calcio è possibile che un campione “faccia la differenza” e gli annali calcistici sono pieni di esempi che dimostrano questa tesi; è ovvio che anche il calcio, come tutti gli sport di equipe, si fonda su un impegno coordinato di un gruppo di atleti ma l’equilibrio tra il ruolo del campione (o del “craque”) e il resto della squadra non sempre è bilanciato a favore di quest’ultima.<br />Nella pallavolo l’equipe è tutto, e questo è anche favorito e reso necessario dal continuo turn-over di giocatori nel corso della stessa partita.<br />Altra caratteristica, forse ancora più esclusiva, è quella di giocare tra due gruppi che si fronteggiano ma non arrivano mai a toccarsi. Se ci pensiamo bene un caso quasi unico tra gli sport di squadra, che basano una parte importante del loro agonismo e anche dello spettacolo nel contatto, se non nello scontro fisico, con l’avversario.<br />Non si tratta di un dettaglio: la mancanza dello scontro fisico costringe l’atleta a concentrarsi al massimo sulla perfezione del gesto, a raggiungere una perfetta intesa con i propri compagni di squadra, a scatenare la propria forza fisica sul pallone e non sul suo rivale.<br />Pensandoci bene, credo proprio che quelle lunghe ore e quegli anni trascorsi in palestra non siano passati invano; a beneficiarne non è stato soltanto il mio fisico ma la mia testa, e sicuramente il politico ha appreso non poco da quell’insegnamento sportivo.<br />Se la politica di oggi fosse basata più sul ‘gioco di squadra’ e meno sul leaderismo populista di alcuni personaggi e se il dibattito anche più acceso con gli avversari fosse meno ‘gridato’ e più ragionato, più concentrato sulla palla e quindi sui contenuti e meno sulla demolizione della fazione rivale probabilmente le nostre società, i nostri Paesi ne trarrebbero un grande beneficio.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-2279390049879717272010-07-24T09:36:00.000-07:002010-07-24T09:39:01.191-07:00Frankfurt, Vancouver, Buenos Aires…I giornali italiani non ne hanno dato notizia, ma nelle scorse settimane in tutto il mondo è successo qualcosa di davvero straordinario (nel senso letterale di evento “fuori dall’ordinario”): i rappresentanti democraticamente eletti da tutti gli italiani che vivono all’estero si sono mobilitati ed hanno protestato in forma unitaria contro la politica dell’attuale governo italiano.<br />Alla protesta infatti hanno partecipato tutti i membri del Consiglio Generale degli Italiani all’estero e tutti i Presidenti dei Comites; i Comites sono gli organismi rappresentativi di quelle realtà territoriali dove risiede un numero pari o superiore ai tremila abitanti, mentre il CGIE è un organismo di livello intermedio (tra i Comites e i parlamentari eletti all’estero), eletto dai consiglieri dei Comites e dalle associazioni.<br />Nel corso di tre assemblee congiunte di Comites e Cgie dei Paesi europei, di quelli extraeuropei di lingua anglofona e dell’America Latina, rispettivamente a Francoforte, Vancouver e Buenos Aires, i rappresentanti degli oltre quattro milioni di italiani residenti all’estero hanno voluto all’unisono lanciare un grido di allarme (forse l’ultimo) al governo e a tutte le istituzioni italiane.<br />Nonostante la conquista dell’esercizio del voto, rafforzata dalla presenza in Parlamento di deputati e senatori residenti all’estero, le comunità italiane nel mondo hanno infatti visto diminuire in questi ultimi anni il livello di piena fruizione dei loro diritti sociali, e oggi vedono messo in discussione anche il loro pieno esercizio del diritto-dovere di partecipare alla vita democratica attraverso il sistema di rappresentanza che avevano costruito dopo anni di lunghe lotte e rivendicazioni.<br />Facciamo qualche esempio, per uscire dalla retorica della politica ed essere più chiari.<br />Cosa succederebbe in Italia se, allo scadere del naturale mandato di un Comune o di una Regione, il Parlamento decidesse che – magari in attesa dell’approvazione di una nuova legge che interviene su questi stessi organismi – le elezioni per il rinnovo di tali enti sarebbero rimandate di due o tre anni, mantenendo nel loro posto tutti gli amministratori eletti per un mandato di soli cinque anni?<br />E’ quello che questo governo sta facendo proprio in questi giorni, con il sostegno decisivo della maggioranza del Parlamento italiano che non ha esitato nell’approvare un decreto che rinvia di ulteriori due anni (dopi il rinvio di un anno dal 2009 al 2010) le elezioni di Comites e Cgie.<br />E cosa succederebbe in Italia se da un giorno all’altro il governo decidesse che la metà delle persone indigenti che hanno diritto a medicinali gratuiti o all’assistenza sociale perderebbero questo diritto a partire, lo ripeto, dal giorno successivo alla riduzione dei relativi stanziamenti?<br />Anche in questo caso si tratta di quanto è successo con l’assistenza socio-sanitaria a favore di quegli italiani residenti all’estero (perlopiù nati in Italia) che si trovano per le disgrazie di una vita piena di sacrifici in assenza di un reddito sufficiente a garantire a loro stessi le condizioni minime di sopravvivenza.<br />E cosa succederebbe in Italia se una persona anziana senza alcun reddito presentasse regolare domanda, ai sensi di quanto previsto dalla nostra carta costituzionale, per ricevere una pensione sociale per vivere degnamente gli ultimi anni della sua vita e il governo si negasse a corrisponderla allegando il fatto che il cittadino in questione non aveva vissuto dieci anni consecutivamente nella stessa città?<br />E’ quanto succede da un paio di anni ai nostri anziani poveri che, rientrando in Italia da una vita di emigrazione e quindi spesso di sacrifici all’estero, si vedono negato tale diritto perché non hanno vissuto dieci anni consecutivi nel Paese.<br />E la lista delle palesi ingiustizie potrebbe continuare, anzi continua.<br />Con un ultimo e purtroppo noto esempio: cosa succederebbe in Italia se alla richiesta di un documento anagrafico presso un ufficio pubblico il funzionario rispondesse che per il suo rilascio dovranno passare sei o otto anni?<br />E’, lo sanno in tanti, quanto continua a succedere presso i consolati italiani in Brasile, gli unici al mondo dove non si riescono a smaltire in tempi civili i processi di cittadinanza.<br />Sì, l’unico Paese, visto che nella vicina Argentina le sedi consolari italiane sono riuscite ad utilizzare positivamente le poche risorse umane e finanziarie della cosiddetta operazione “task force”: un progetto, voluto dal Governo Prodi e attuato dall’attuale, che aveva come obiettivo finale l’azzeramento di questa lunga e vergognosa fila di italiani in attesa del riconoscimento del loro diritto di cittadinanza.<br />Contro tutto questo abbiamo manifestato in Europa, ma anche in Nordamerica e nel Sudamerica.<br />Abbiamo voluto dire così alla nostra patria lontana quanto è grande il rischio di una progressiva e forse radicale e definitiva secessione tra le due Italie; e questa volta non stiamo parlando dell’Italia del Nord e del Sud ma dell’Italia dello stivale e di quella, altrettanto grande, che vive fuori dalla penisola.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-33943305522563216002010-07-05T09:55:00.000-07:002010-07-05T10:01:05.915-07:0012 DOMANDE A BERLUCONI IN BRASILE1) Il Parlamento ha approvato, su proposta del suo governo, un decreto legge che proroga di ulteriori due anni (dal 2010 al 2012) le elezioni per rinnovare gli organismi di rappresentanza di base degli italiani all’estero, i Comites e il Cgie. Questa proroga si aggiunge a quella di un anno approvata un anno fa: il risultato sarà la delegittimazione e la mortificazione di questi importanti organismi, che avrebbero invece un vitale bisogno di rinnovamento, a partire dall’inserimento delle giovani generazioni di italiani nel mondo. Il governo intende proseguire in questa politica di proroghe e nel sostegno di proposte di legge che diminuiscono il numero e i poteri dei Comites o si impegna a sostenere la rappresentanza degli italiani nel mondo ridando forza e un ruolo preciso a tali organismi?<br /><br />2) In Brasile vive oggi la maggiore comunità di italo-discendenti al mondo: si tratta secondo stime attendibili di circa 36 milioni di persone; di queste oltre 300mila hanno la cittadinanza italiana (più della metà solo nella circoscrizione consolare di San Paolo). Con molte difficoltà e poche risorse è partita circa un anno fa la cosiddetta “operazione task-force” per consentire ai sei Consolati italiani presenti sull’enorme territorio brasiliano di evadere l’accumulo di oltre mezzo milione di domande di cittadinanza. Il governo intende sostenere tale azione, anche con il rafforzamento e l’estensione di una rete consolare precaria e non adeguata alle dimensioni del Brasile e della grandissima comunità di origine italiana?<br /><br />3) In Brasile risiede anche la più grande comunità al mondo di discendenti dei territori dell’ex impero austro-ungarico ai quali, grazie alla legge 379/2000, è stato concesso il diritto di presentare domanda di cittadinanza italiana. Cosa intende fare il governo per diminuire i tempi di trattazione di tali domande presso l’apposita commissione ministeriale insediata a Roma e – dando seguito ad uno specifico Ordine del Giorno approvato dalla Camera – per valutare la possibilità di una proroga della scadenza del termine ultimo del 31/12/2010 per la presentazione di tali domande?<br /><br />4) Presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera è tornato il disegno di legge che modifica la normativa sulla concessione della cittadinanza. In quel disegno di legge, gli aspetti riguardanti gli italiani all’estero sono completamente ignorati. Restano così senza risposta le annose e diffuse richieste di riaprire i termini per la concessione, di consentire a chi nato in Italia l’ha perduta di poterla riacquistare, di considerare finalmente le donne soggetti di pieno diritto anche sotto il profilo della trasmissione della cittadinanza, di superare l’odiosa discriminazione tra i figli nati prima dell’entrata in vigore della Costituzione e quelli nati dopo. Quale posizione il Governo prenderà nella discussione della legge sulla cittadinanza? <br /><br />5) La grave riduzione dei finanziamenti per i corsi di lingua e cultura italiane all’estero penalizza una richiesta di “italianità” che negli ultimi tempi era in espansione e delude le aspettative delle nuove generazioni. Il Governo si impegna a interrompere la spirale discendente dei finanziamenti in questo campo e a ritornare almeno al livello raggiunto nell’ultima Finanziaria approvata dal Governo di centrosinistra? <br /><br />6) I tagli delle ultime due Finanziarie stanno contenendo severamente le possibilità operative dei Centri di cultura, che dovrebbero essere, come quelli di nostri partners europei, gli avamposti culturali del Paese in aree di interesse strategico. Quali impegni il Governo assume per mettere gli Istituti di cultura nelle condizioni di svolgere efficacemente il loro ruolo? Per l’America Latina, in particolare, l’oscillazione dei cambi spesso taglia ulteriormente le risorse destinate alla loro attività. Perché il Governo non adotta un sistema di bilanciamento congiunturale, in modo che gli Istituti possano programmare la loro attività sulla base di risorse certe?<br /><br />7) I tagli previsti dalle due ultime leggi finanziarie hanno colpito, come si diceva, l’assistenza diretta degli italiani all’estero e in modo particolare l’assistenza sanitaria. I nostri connazionali residenti in America Latina da tempo chiedono invece di dare continuità e valorizzare gli interventi volti a garantire agli italiani indigenti la necessaria copertura sanitaria tramite assicurazioni sanitarie e altre forme di assistenza laddove se ne verifichino le condizioni: un sistema sanitario locale insufficiente e la contemporanea disponibilità di società di assicurazione a condizioni adeguate. Cosa intende fare il suo Governo per venire incontro a queste legittime e impellenti richieste?<br /><br />8) Sono decenni che lo Stato italiano promette l’istituzione di un assegno di solidarietà a favore degli italiani in stato di grave indigenza residenti in America Latina. Nessun Governo tra tutti quelli che si sono succeduti ha mai finora mantenuto le promesse. Non crede che sia arrivato il momento di dire una parola certa garantendo vitale sostegno ai propri cittadini costretti ad emigrare che vivono oggi in condizione di indigenza?<br /><br />9) La protezione sociale dei nostri emigrati è certamente una delle priorità che il Governo dovrebbe affrontare in America Latina. Perché non viene approvato l’accordo di sicurezza sociale con il Cile e non vengono rinnovati gli accordi con il Brasile e l’Argentina oramai datati e inadatti a garantire una più equa ed efficace tutela previdenziale?<br /><br /><br />10) L’accordo contro le doppie imposizioni fiscali tra Italia e Brasile nella parte che riguarda le pensioni è scritto in maniera ambigua ed è ha creato difficoltà interpretative alle autorità competenti. Paradossalmente, infatti, tutti i pensionati italiani residenti in Brasile i quali fanno valere un reddito da pensione superiore ai 5000 dollari vengono tassati due volte, prima alla fonte dal fisco italiano (sulla quota eccedente tale cifra) e poi nel Paese di residenza. Nonostante continui appelli e proteste, l’Italia non ha ancora superato questa forma di vessazione fiscale. Cosa intende fare il Governo per accogliere le giuste rivendicazioni dei nostri pensionati in Brasile?<br /><br />11) I pagamenti delle pensioni dell’Inpdap in Brasile sono ancora oggi caratterizzati da procedure farraginose, ritardi, cambi penalizzanti, commissioni esose. Perché non è stato ancora possibile utilizzare anche per i pensionati italiani dell’Inpdap in Brasile il metodo dell’accredito diretto su conto corrente bancario in loco?<br /><br />12) Il colpo che si è assestato all’unico strumento di presenza informativa all’estero, RAI Italia, eliminando dalla Convenzione del Governo con la RAI ben 12 milioni di euro, rende incerte e preoccupanti le prospettive del sistema comunicativo italiano verso l’estero. A questo si aggiunge la riduzione del 50% delle somme destinate alla stampa italiana all’estero, che svolge una insostituibile funzione di coesione e promozione comunitaria. Il Governo ha intenzione di reintegrare le risorse così gravemente decurtate? In particolare, si intende ripristinare il notiziario italiano in lingua portoghese, fornito gratuitamente alla rete informativa locale, per fare in modo che l’immagine dell’Italia si estenda e si accrediti?Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-66288531263138466162010-04-10T11:10:00.000-07:002010-04-10T11:12:47.559-07:00QUANDO GLI ITALIANI ALL'ESTERO ERANO DI MODA“Gli italiani all’estero non sono più di moda”: lo ha scritto in un suo editoriale apparso sul principale giornale italiano, “Il Corriere della Sera”, il giornalista Gian Antonio Stella.<br />La frase, sicuramente provocatoria, apre un articolo dal titolo ancora più esplicito: “Italiani all’estero ‘traditi’ “ ! Un articolo scritto, si badi bene, non solo da uno dei maggiori esperti e conoscitori della storia della nostra emigrazione all’estero (uno dei pochi, ahinoi, giornalisti italiani che possono scrivere con cognizione di causa del fenomeno), ma anche da uno dei massimi fustigatori degli sprechi e delle ruberie di certa classe politica italiana.<br />Gian Antonio Stella è infatti famosissimo in Italia per essere (insieme al collega Sergio Rizzo) uno degli autori della “Casta”, il best seller che ha venduto diversi milioni di copie facendo le pulci alle nostre istituzioni democratiche, raccontandone e dettagliandone con dati precisi costi e privilegi.<br />Meno copie, purtroppo, ha venduto un altro suo bellissimo libro: “Quando gli albanesi eravamo noi”, storia sintetica ma chiara e obiettiva della ‘diaspora’ dei 28 milioni di italiani che nel corso di oltre un secolo di storia unitaria sono stati costretti a lasciare il nostro Paese.<br />Cosa c’entrano gli italiani all’estero con la casta; gli sprechi dell’amministrazione pubblica italiana con la diaspora degli italiani nel mondo?<br />Un nesso c’è, e nell’editoriale di Stella emerge in maniera polemica ma netta.<br />I governi italiani hanno sempre avuto paura di tagliare davvero costi e privilegi di un’amministrazione pubblica che potrebbe ‘dimagrire’ riducendo strutture obsolete o sussidi superflui; penso ad esempio alle “provincie”, una unità amministrativa intermedia tra i Comuni e le Regioni che oggi costituisce un inutile costo alle casse dello Stato ma che nessun governo fino ad adesso ha avuto il coraggio di tagliare. E gli esempi potrebbero continuare, spaziando in lungo e in largo tra le pieghe dei sussidi statali o delle spese dei singoli enti locali (Comuni, Provincie, Regioni).<br />In Italia (e non solo in Italia) non è facile eliminare nei fatti e non a parole le spese inutili e gli sprechi che si annidano nei bilanci di tali amministrazioni. Dove si taglia invece, a man bassa e senza pietà? Su tutti (tutti !) i capitoli di bilancio destinati agli italiani che vivono all’estero, alla faccia del ‘debito storico’ del nostro Paese con questi nostri connazionali o della ‘risorsa straordinaria’ da essi rappresentati in tutti gli angoli del mondo. “Debito storico”, “risorsa straordinaria”: si tratta ormai di vecchi slogan, di frasi fatte e non più di moda, appunto, come recita l’articolo apparso qualche settimana fa sul “Corriere”.<br />Perché questo accade? Secondo la riflessione sviluppata dall’articolo di Gian Antonio Stella semplicemente per un cinico interesse di natura politica: gli italiani all’estero non votano nelle elezioni amministrative (comunali, provinciali e regionali) e quindi non possono reagire ai tagli a loro imposti. Sì, qualcuno obietterà, c’è sempre il tanto invocato voto all’estero, ottenuto dopo anni di conquiste e oggi rappresentato dai diciotto membri del Parlamento eletti dagli oltre quattro milioni di italiani nel mondo. Un voto lontano però (si voterà solo nel 2013) che ampi settori della maggioranza che sostiene il governo (e qualche esponente dell’opposizione) vorrebbero eliminare quanto prima, o quantomeno modificare a tal punto da renderlo impermeabile alle rivendicazioni degli italianie dei loro discendenti che vivono fuori dai confini nazionali.<br />Purtroppo la scelleratezza di chi ha messo in lista all’estero personaggi impresentabili in Italia, un meccanismo di voto troppo esposto ai brogli e le interferenze della delinquenza organizzata (anche su chi aveva il compito di vigilare sulla correttezza del voto) hanno contribuito a minare alla base tale diritto, esponendolo al ludibrio dell’opinione pubblica italiana.<br />Lo stesso sta succedendo con il diritto alla cittadinanza italiana ‘ius sanguinis’ da parte degli italo-discendenti, infangato da personaggi che nulla hanno a che vedere con l’onore e la legalità.<br />La migliore difesa – a volte - è l’attacco; questo adagio popolare va utilizzato anche in questo caso.<br />Per difendere i diritti conquistati quando (almeno apparentemente) noi italiani all’estero eravamo “di moda” dobbiamo difenderli proponendo soluzioni credibili che possano migliorare il sistema del voto all’estero; al tempo stesso dobbiamo esigere dalla magistratura e dalla nostra rete diplomatico-consolare il massimo di rigore verso quanti si sono prestati, in Italia e fuori, ad azioni e fatti che hanno colpito al cuore un diritto quasi sacrale, ossia il riconoscimento della cittadinanza grazie al “sangue” dei nostri coraggiosi antenati.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-76119720733360559952009-12-17T08:05:00.000-08:002009-12-17T08:07:28.573-08:00L'ANNO CHE VERRA'Perché e quando gli italiani sono passati ad essere il popolo più triste d’Europa e cosa fare per farli ridiventare quel popolo simpatico e cordiale che tutto il mondo ha conosciuto.<br /><br /><br />L’Italia è cambiata, non è più la stessa, non è più simile a sé stessa o – meglio – non è più simile all’immagine che tutti nel mondo abbiamo sempre avuto del Belpaese: l’Italia allegra e spensierata, il Paese del lieto vivere, della proverbiale cordialità e simpatia dei suoi abitanti non esiste più.<br />Una constatazione che sino a qualche tempo fa veniva fatta di solito dai nostri emigranti al loro rientro a casa, o al paese dei loro nonni o bisnonni; dov’era finito quel popolo allegro e ospitale, sempre pronto alla battuta e all’accoglienza sorridente e disinteressata? Oggi i primi ad ammettere questo cambiamento, questa vera e propria trasformazione o metamorfosi della loro maniera di essere sono gli stessi italiani. Sconsolatamente e con una certa rassegnazione.<br />Perché tutto questo è avvenuto e, soprattutto, quando è iniziato questo processo che ha trasformato nel giro di pochi decenni gli italiani dal popolo più felice a quello più pessimista d’Europa?<br />Per trovare una risposta e forse anche una data dobbiamo fare un salto all’indietro di circa trent’anni. Siamo nella seconda metà degli anni’70, quando esplode in Italia con tutta la sua virulenza il fenomeno del terrorismo. Attentati, sparatorie, sequestri di persona, sono all’ordine del giorno. Improvvisamente, in particolare nelle grandi città, si comincia ad aver paura di uscire la sera, di andare in luoghi affollati, si diventa sospettosi verso il vicino di casa o il collega da poco seduto nella scrivania accanto alla nostra.<br />I miei genitori rinunciarono all’ultimo momento di trasferirsi dalla Sicilia a Roma per paura; sì, la paura di perdere la sicurezza che una piccola cittadina di provincia poteva offrire ad una famiglia con figli in età scolare.<br />Sono anche gli anni del cosiddetto “riflusso”. Dopo la grande partecipazione democratica del dopoguerra, le conquiste sociali dei governi di centro-sinistra e l’euforia collettiva di studenti e lavoratori del sessantotto/sessantanove, la politica non è più di moda; entra in scena con irruenza il privato, entrano in crisi i ‘grandi miti’ collettivi.<br />In quegli anni Lucio Dalla, uno dei cantautori italiani più famosi anche all’estero, scrive una canzone intitolata “L’anno che verrà” nella quale descrive alla sua maniera e con la forza magica di musiche e parole sapientemente coniugate il clima di quel periodo. La canzone è una lettera ad un amico, scritta a pochi giorni dalla fine di uno di quegli anni bui e pesanti: “Caro amico ti scrivo – canta Lucio – così mi distraggo un po’, e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò”.<br />Dopo poche strofe ecco come il cantautore descrive il clima di quegli anni: “Si esce poco la sera, compreso quando è festa, e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra (…) e si sta senza parlare per intere settimane, e a quelli che hanno cose da dire di tempo ne rimane”.<br />In questi trent’anni l’Italia è cambiata e ancora di più sono cambiati gli italiani; agli anni del riflusso e del terrorismo sono seguiti gli anni di “mani pulite” e dell’ingresso del nostro Paese nell’Europa della moneta unica, con il passaggio dalla lira all’euro; un lungo periodo di scarsa crescita economica, di crescente disoccupazione e di difficile mantenimento per le famiglie italiane dei livelli di benessere ottenuti precedentemente. Fino ad arrivare ai tempi più recenti dominati dal “berlusconismo” e dal “leghismo”. Il partito di Berlusconi e la Lega Nord hanno in qualche modo incarnato meglio di qualsiasi altro movimento questo disagio e questa difficoltà del Paese ad uscire dalla spirale perversa nel quale è entrata negli anni ’80. Lo hanno fatto, a mio avviso, accentuando gli aspetti e gli effetti negativi di questa crisi, rafforzandone le tentazioni alla chiusura e all’isolamento del Paese e non le speranze di apertura e di cambiamento. La grave disattenzione di questi ultimi anni verso gli italiani nel mondo e le politiche severe e xenofobe in materia di immigrazione ne sono uno degli esempi più lampanti.<br />Eppure, nonostante questo scenario certamente non ottimista, come italiano non voglio perdere la speranza di vedere il mio popolo recuperare quei valori e quelle caratteristiche che nel corso dei secoli l’hanno reso simpatico, unico e inimitabile agli occhi di tutto il mondo. E voglio credere che questo miracolo si realizzerà anche grazie a tanti milioni di stranieri in Italia e di italiani nel mondo.<br />“L’anno che sta arrivando – concludeva la canzone di Dalla – tra un anno finirà; io mi sto preparando ed è questa la novità !”Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-54496098515658551552009-11-26T11:02:00.002-08:002009-11-26T11:04:02.458-08:002011, 2014, 2016“La rivoluzione del ceto medio”: così si apriva l’inchiesta dedicata da un grande quotidiano italiano al boom economico che nei prossimi anni sconvolgerà l’attuale classifica dei Paesi più ricchi e industrializzati. Grazie infatti alla crescita della ‘classe media’ e della relativa spinta ai consumi, i Paesi oggi definiti ‘emergenti’ come il Brasile, la Russia, l’India e la Cina guideranno insieme agli Stati Uniti e al blocco dell’Unione Europea l’economia mondiale.<br />Non è un caso che – dopo la vittoriosa candidatura brasiliana per organizzare la Coppa del mondo di calcio del 2014 - Rio de Janeiro abbia battuto in maniera così perentoria la concorrenza di Chicago, Tokyo e Madrid per le Olimpiadi del 2016: Stati Uniti, Giappone, e Spagna (unico paese europeo rimasto in gara fino all’ultimo) rappresentavano infatti il vecchio sistema economico mondiale, mentre il Brasile si è imposto anche per essere uno dei leader del Bric (i quattro paesi emergenti) nonchè il capofila di un continente che mai fino ad ora aveva avuto l’onore di ospitare una edizione dei giochi.<br />Il carisma internazionale di Lula, il nome e il prestigio di Pelè, la popolarità e l’appeal di uno scrittore come Paulo Coelho hanno fatto il resto, contribuendo non solo a portare a casa l’olimpiade ma più in generale ad affermare in maniera definitiva e direi anche plateale il peso ormai riconosciuto da tutti del Brasile nel nuovo scenario internazionale.<br />Questa vittoria è anche un po’ nostra; di noi italiani, dico.<br />No, non mi riferisco ai cinque importanti voti che la delegazione italiana ha riversato sulla candidatura di “Rio 2016” (magari sperando nel sostegno brasiliano a “Roma 2020”). Sto parlando della rivoluzione pacifica e democratica che lentamente ma inesorabilmente sta spingendo il Brasile lontano dalle secche dei Paesi in via di sviluppo, attraversando il complesso e contraddittorio cammino dei Paesi emergenti, per approdare infine al consesso dei Paesi maggiormente sviluppati.<br />Una rivoluzione segnata, come dicevamo all’inizio, dalla crescita netta e costante della classe media, all’interno della quale la popolazione degli oltre trenta milioni di italo-discendenti costituisce senz’altro una componente determinante.<br />Gli italiani, potremmo dire, dopo aver fatto la “Merica” hanno fatto il Brasile, questo Brasile che oggi si impone sulla scena mondiale riscuotendo successi e meritandosi il rispetto anche di quanti fino a pochi anni fa denigravano o addirittura sbeffeggiavano il gigante sudamericano.<br />Certo, le contraddizioni continuano ad esistere: le fasce più povere della popolazione sono ancora fortemente presenti nella composizione socio-demografica del Paese; le istituzioni sono ancora affette da fenomeni di corruzione frutto spesso di una mancata e necessaria riforma politica; infrastrutture precarie o inesistenti relegano grandi aree del Paese ad un ruolo subalterno rispetto alle zone più ricche e avanzate; burocrazia e dazi doganali a volte rendono lenta e difficile una piena internazionalizzazione del sistema con la conseguente apertura ai mercati esteri.<br />Tutti fattori critici che andranno affrontati con determinazione, soprattutto dal governo che succederà a Lula nel 2010, che avrà l’arduo ma entusiasmante compito di tradurre questa grande eredità politica ed economica in scelte precise di sviluppo economico e giustizia sociale.<br />In questo contesto il nostro Paese si prepara fin da adesso ad un appuntamento doppiamente importante: il 2011 sarà l’anno delle celebrazioni, in Italia e nel mondo, dei 150 anni dall’unità d’Italia; ma anche l’anno dell’Italia in Brasile, per il quale si stanno già ideando e prospettando una serie di importanti iniziative coordinate dalla nostra Ambasciata di Brasilia.<br />I 150 anni di storia italiana dovranno dare uno spazio adeguato al ruolo delle nostre comunità emigrate in tutti questi anni nei quattro continenti: una epopea che ha visto milioni di italiani lasciare la loro terra natale per avventurarsi in paesi e nazioni a loro sconosciuti; il lavoro, il sacrificio e le realizzazioni di questi emigrati costituiscono una delle pagine più amare ma anche più belle della storia ultracentenaria del Paese. In Brasile dovremo celebrare questa importante ricorrenza con un grande evento ed una serie di iniziative ad esso dedicate.<br />Contemporaneamente, l’anno dell’Italia in Brasile non dovrà ridursi ad una parata di delegazioni di carattere turistico-istituzionale o all’organizzazione di questa o quella iniziativa motivata dall’intento di fare vedere che “ci siamo anche noi”. Si tratta di una seria opportunità per consolidare una presenza spesso troppo frammentata e disorganizzata; un occasione quindi per fare davvero ‘Sistema’, mostrando le nostre eccellenze ma anche cogliendo qui in Brasile le reali opportunità di collaborazione economica e commerciale per le nostre piccole e medie imprese.<br />Obiettivi ambiziosi e che guardano ad un risultato di medio e lungo periodo, esattamente come fecero i milioni di nostri concittadini che qui iniziarono ad arrivare oltre un secolo fa: ambiziosi e lungimiranti, appunto.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-43366029679332458582009-11-26T11:02:00.001-08:002009-11-26T11:02:17.023-08:00RicardoCaro Ricardo,parabèns pelo teu blog, que nao conhecia !Vou me tornar um usuario/freguès das tuas notas.A proposito, por acaso tem mais fotos da visita de Lula em Italia (eu estavo com o Massimo D'Alema no encontro no Hotel Hassler Villa Medici...).Um abraço,Fabio PortaFabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-51759272587616166362009-10-19T07:47:00.001-07:002009-10-19T07:47:37.853-07:00Il Brasile sarà la quinta potenza mondiale anche grazie agli italiani<a href="http://www.litaliano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=929:il-brasile-sara-la-quinta-potenza-mondiale-anche-grazie-agli-italiani&catid=40:italia&Itemid=266">Il Brasile sarà la quinta potenza mondiale anche grazie agli italiani</a><br /><br />Shared via <a href="http://addthis.com">AddThis</a><br />Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-80011163358149551392009-09-13T13:21:00.001-07:002009-09-13T13:22:26.263-07:00SUL DIBATTITO EMIGRAZIONE - IMMIGRAZIONELETTERA AL DIRETTORE DE "LA VOCE D'ITALIA", MAURO BAFILE<br /><br />Caro Mauro,<br />vorrei raccogliere la tua riflessione sulla discussione che si è aperta sulle affermazioni fatte dal Presidente Fini in un incontro patrocinato dalle ACLI, non tanto per la chiamata di correo da te fatta nei confronti degli eletti della Circoscrizione Estero (v. Inform n. 162 del 7 settembre, <a href="http://www.mclink.it/com/inform/art/09n16209.htm" target="_blank">http://www.mclink.it/com/inform/art/09n16209.htm</a>, ndr) quanto per l’obiettiva rilevanza delle questioni sottese alla polemica che su di esse si è sviluppata.<br />Dunque il Presidente Fini, nel suo convinto impegno volto a sostenere la semplificazione delle procedure di concessione della cittadinanza ai figli nati in Italia degli immigrati e l’estensione agli stessi dei diritti politici (in particolare del voto in loco) si è lasciato andare a un confronto con i figli dei nostri emigrati che, a suo avviso, in molti casi ambirebbero alla cittadinanza italiana soprattutto per avere il passaporto comunitario da usare per migrare in altri Paesi.<br />Non ho esitazione a di chiara re chiara mente il mio totale accordo con le posizioni espresse sugli immigrati in Italia e l’apprezzamento per la coerenza con cui Fini difende questo suo orientamento tra la diffusa ostilità di importanti componenti della sua parte politica. Nello stesso tempo e con la stessa nettezza esprimo la mia contrarietà ad un riferimento improprio e ingiusto ai discendenti degli italiani all’estero, assimilati sommariamente ad una minoranza di persone che userebbe surrettiziamente la cittadinanza per raggiungere altri scopi. Mi rendo conto che la comparazione usata dal Presidente Fini è stata fatta non per puntare il dito contro gli italiani all’estero, ma per dare forza e motivazioni alla difficile battaglia che sta conducendo, non di meno quelle considerazioni sono sbagliate per gli equivoci che possono ingenerare e per il fatto che provengono dalla terza carica della Repubblica, a cui si richiede ponderazione ed equilibrio.<br />Chi, come me, vive in America Latina, dove il problema delle richieste di cittadinanza si presenta con i numeri e i risvolti a tutti noti, spesso evocati a sproposito, sa bene che esiste un ritorno diffuso e sincero per un’italianità declinata non solo in termini civili e politici, ma culturali ed etici. E se ci sono molti giovani che non parlano la nostra lingua e conoscono poco il nostro Paese, questo non può rappresentare un motivo di discriminazione nei loro confronti, ma semmai di riflessione critica sui limiti delle nostre politiche culturali all’estero, che questo governo sta ulteriormente e tragicamente ridimensionando.<br />Detto questo, però, non sento di essermi messo l’animo in pace e di passare al punto successivo nel sempre lungo elenco delle polemiche sugli italiani all’estero. Perché il problema della cittadinanza è solo la punta più visibile dell’iceberg che da anni sta andando alla deriva in acque sempre meno limpide, senza riuscire a trovare un approdo convincente. Sto parlando, evidentemente, della transizione sociale e culturale di un Paese come il nostro, che dopo avere conosciuto una delle emigrazioni più intense della storia moderna, sta vivendo oggi una diversa esperienza di emigrazione, talvolta mistificata sotto la dizione di “nuove mobilità”, e un ininterrotto flusso di immigrazione che porta, allo stesso tempo, grandi benefici economici e sociali e non meno seri problemi di convivenza civile. Si tratta di tre aspetti distinti e uniti che attengono al futuro dell’Italia: i rapporti con le comunità di origine italiane all’estero, eredi della grande diaspora degli italiani; lo sforzo di recupero e di utilizzazione, sia pure in un ambito ampio, anche sovranazionale, delle giovani energie e competenze che si stanno allontanando dai luoghi d’origine, com’è accaduto per milioni di emigranti; l’integrazione nel tessuto produttivo e nella società civile dei migranti che scelgono l’Italia come ambiente di lavoro e di vita. Tre profili, dicevo, un solo problema, dalla cui risoluzione dipenderà non solo il livello di modernizzazione e di internazionalizzazione che saremo riusciti ad assicurare al Paese, ma anche la qualità della nostra democrazia. Una qualità ancorata a valori e il valore della memoria e della riconoscenza non può disgiungersi da quello dell’accoglienza e del rispetto, come noi italiani all’estero abbiamo appreso nel corso di una secolare vicenda.<br />Le migrazioni, dunque, nel loro insieme, sono il solco più profondo scavato nella storia e nell’attualità della nostra vicenda nazionale e l’errore più grande che si possa commettere è tentare di separare i processi reali in cui esse s’incanalano o, addirittura, mettere in contrasto le forze che da esse si generano. E’ quello che purtroppo sta accadendo in Italia per la prevalenza delle parti più oltranziste e xenofobe nello schieramento di centrodestra e per il modo in cui vengono strumentalmente alimentati gli impulsi più irrazionali che si sviluppano nelle viscere della società, soprattutto in momenti di crisi come questi. <br />Ora, caro Mauro, se non si vogliono mandare messaggi nell’etere il compito di tutti, soprattutto di coloro che fanno politica, è quello di valutare quali siano le forze capaci di sostenere questa difficile battaglia e come si possano mettere insieme, al di là di artificiose differenze ideologiche. In questa ottica non ho dubbi che il futuro della nostra società e la qualità della nostra democrazia possano essere costruiti solo con uno sforzo comune e trasversale, volto ad impedire la deriva di intolleranza e di xenofobia che sembra percorrere il Paese e a costruire una società al suo interno coesa e integrata e al suo esterno capace di confrontarsi con le dinamiche internazionali.<br />Da questo punto di vista, nonostante le forti differenze politiche esistenti, non ho esitazione a dire che quando Fini chiede il voto in loco per gli immigrati e la cittadinanza per i bambini nati in Italia o quando Tremaglia di chiara il suo orrore per la strage degli innocenti che quotidianamente si rinnova davanti alle nostre coste e chiede umanità per i disperati, sento che quel loro impegno corrisponde ad un obiettivo che deve essere di tutti i democratici, anzi semplicemente di tutte le persone civili. Credo, anzi, che in questo modo, si concilino nei fatti i due principi che regolano la questione della cittadinanza, lo jus sanguinis e lo jus soli, che smettono di essere astratte categorie giuridiche e diventano principi viventi di una sola civiltà da tutelare e sviluppare.<br />Sono certo, caro Mauro, che su queste cose vi è tra noi un consenso profondo. E poiché conosco la tua serietà e la funzione democratica che “ La Voce ” ha storicamente svolto, perché non aprire su queste cose un dibattito ampio e approfondito proprio sulle colonne del tuo giornale?<br />Per quanto mi riguarda, sono a pronto a dare il mio contributo, anche partecipando direttamente ad eventuali iniziative promosse per fare avanzare questa idea.In ogni caso, grazie per lo stimolo che ci hai dato e in bocca al lupo per il tuo importante lavoro.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-82204601829056500902009-09-13T13:20:00.001-07:002009-09-13T13:20:46.999-07:00PANE E SPERANZAIl 6 agosto del 1906 il transatlantico “Sirio” affondava al largo della costa atlantica della penisola iberica: si consumava in poche ore la più grande tragedia che mai abbia vissuto l’emigrazione italiana nel mondo. Le mille e settecento persone a bordo, un carico “umano” abbondantemente al di là dei limiti consentiti dalla normale capienza della nave, si erano imbarcate pochi giorni prima da Genova alla scoperta della loro ‘Merica’; l’America del Sud, il Brasile in particolare, erano la meta di centinaia di uomini e donne, bambini e anziani, che cercavano in quelle terre lontane pane e speranza. Il pane che a loro mancava, in un’Italia da poco unita ma ancora troppo povera per sfamare un proletariato urbano e soprattutto contadino numeroso e tradizionalmente abituato al duro lavoro e al sacrificio; la speranza che rischiava di morire con i tanti neonati che non riuscivano a superare i primi mesi di vita, a causa delle insane condizioni di vita delle loro povere famiglie.<br />Il triste e freddo bollettino della tragedia parlerà di cinquecento italiani tra morti e dispersi, cinquecento vittime innocenti di questo dramma più grande che è stato l’emigrazione italiana nel mondo. Eroi sconosciuti di un tempo nel quale non c’erano mass media a fare conoscere e a divulgare in tempo reale le notizie e le immagini di stragi e tragedie; anzi, di un tempo in cui era facile ed a volte auspicabile per le autorità l’occultamento delle informazioni. Anche il tempo e le distanze giocavano infatti a favore di chi non aveva alcun interesse a diffondere certe notizie.<br />Ho voluto ricordare il disastro del “Sirio” perchè poche settimane fa abbiamo celebrato<br />la “giornata del sacrificio italiano nel mondo”: l’8 agosto, in memoria dei minatori italiani che morirono in Belgio in quella stessa data del 1956, in tutte le rappresentanze diplomatiche italiane del mondo è stato osservato un minuto di silenzio in memoria di tutti i caduti dell’emigrazione italiana all’estero. Quest’anno, oltre a questa significativa decisione del nostro Ministro degli Esteri, anche il Presidente della Camera dei Deputati ha voluto rendere omaggio personalmente a questa storia. Il Presidente Gianfranco Fini si è recato, insieme ad alcuni parlamentari italiani e al Segretario Generale del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero proprio a Marcinelle, città-simbolo di tutte quelle tante, troppe, morti che ci ricordano ancora oggi un’epopea di sacrificio ma anche di eroismo e abnegazione.<br />Un minuto di silenzio, come anche un bel discorso davanti ad una lapide, non bastano però a mantenere viva la memoria di quanto è successo e di quello che la diaspora italiana nel mondo ha rappresentato per la storia del nostro Paese.<br />Queste pagine di storia vissuta devono diventare un patrimonio permanente della cultura italiana; la proposta di introdurre l’insegnamento della storia dell’emigrazione nelle scuole risponde proprio a questa esigenza. Il Parlamento e le istituzioni italiane devono avere il coraggio di riconoscere la centralità dell’emigrazione e della presenza italiana nel mondo nell’arco dei centocinquanta anni di unità d’Italia che celebreremo tra un anno e mezzo. Una storia ancora poco conosciuta, soprattutto dalle giovani generazioni, ma anche da tanti politici e soprattutto dagli organi di informazione, che in Italia continuano a dare una immagine stereotipata e non più attuale dell’Italia nel mondo.<br />Alle giovani generazioni, in Italia e all’estero, deve rivolgersi questo dovuto sforzo di riscoperta di una memoria storica fondamentale per valorizzare le nostre radici e per costruire un nuovo futuro del rapporto con gli italiani nel mondo. La proposta di legge che ho presentato in Parlamento prevede in questo senso scambi permanenti tra le scuole italiane e dei principali Paesi di emigrazione, premiando i migliori progetti e incentivando i gemellaggi tra Italia ed estero.<br />Per i morti del “Sirio” non ci sarà mai una lapide dove andare a pregare, o semplicemente a versare qualche lagrima; i morti in mare appartengono a tutti e a nessuno. Ce ne siamo ricordati recentemente, con la tragedia del volo Air France Rio-Parigi. A distanza di oltre cento anni altre vittime dell’emigrazione cadute in mare. Questa volta però un eroe c’è, con un nome ed un volto: Rino Zandonai, il Presidente dei Circoli Trentini nel Mondo. A lui, al suo bellissimo lavoro a favore delle nostre comunità nel mondo, alla sua famiglia che a Trento continuerà a ricordarlo per sempre insieme ai suoi tanti amici: a loro dovremmo dedicare questo rinnovato impegno per il rispetto della memoria di tutti gli italiani che sono andati “nel mondo” e che adesso non ci sono più.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-29581740211580519332009-09-13T13:17:00.000-07:002009-09-13T13:19:47.405-07:00ITALIA-BRASILE: UN DESTINO COMUNE?La crisi economico-finanziaria che si è abbattuta con violenza su tutti i mercati internazionali negli ultimi mesi ha decretato in maniera definitiva la fine di un mondo che fino ad allora sembrava ai più incrollabile: mi riferisco al capitalismo mondiale che ruotava intorno alla borsa di New York e, più in generale, all’economia statunitense.<br />Anche gli ultimi nostalgici assertori dell’unilateralismo capitalista basato sui banchieri di Washington e sugli yuppies di Wall Street hanno dovuto capitolare di fronte all’imporsi di un nuovo sistema economico multilaterale, all’interno del quale sono le nuove economie emergenti a ‘reggere il colpo’ della crisi confermando il loro ruolo sempre più centrale e decisivo.<br />I Paesi del ‘Bric’ (Brasile, Russia, India e Cina) sono, in questo scenario mondiale, la più evidente dimostrazione di questo nuovo modello economico multipolare; le quattro grandi nazioni rappresentano quattro grandi continenti, quasi la metà della popolazione mondiale e – soprattutto – quattro enormi bacini di sviluppo economico in grado di spingere da soli la crescita internazionale dei prossimi decenni.<br />L’Italia, una delle grandi economie mondiali e attualmente Paese leader del G8, è attraversata ormai da alcuni anni da una seria crisi economica che la congiuntura internazionale di questi ultimi mesi ha notevolmente acuito; in questo contesto diventa per noi italiani sempre più importante l’apertura al mondo, tanto in termini di nuovi mercati per i nostri prodotti che di partnership e alleanze strategiche per l’internazionalizzazione delle nostre imprese.<br />Per ragioni naturalmente legate al nuovo assetto economico internazionale è ovvio guardare ai Paesi del Bric come ai principali mercati e allo stesso tempo partners per uscire dall’isolamento economico e ritrovare quel circuito economico virtuoso necessario alla ripresa di un PIL attualmente fermo (anzi, negativo).<br />Ma le quattro grandi nazioni del Bric non sono tutte uguali, né tra loro tantomeno in relazione all’Italia.<br />Rispetto a Russia, Cina e India il nostro Paese compete ad armi pari con tutti gli altri; anzi, per ragioni di carattere geo-politico e geo-economico oltre che per le intrinseche caratteristiche dell’economia italiana, non esercitiamo in questi Paesi un’influenza economica pari a quella di altre grandi economie, strutturalmente e finanziariamente più attrezzate di noi alla penetrazione in quei mercati.<br />Caso diverso è (o, sarebbe più corretto dire, sarebbe) il Brasile.<br />Nel rapporto con il Brasile l’Italia può infatti contare sul valore aggiunto dei trentasei milioni di italo-discendenti presenti nel grande Paese sudamericano, che da oltre un secolo hanno contribuito a permeare in maniera significativa tutti i settori della vita sociale, culturale ed economica della nazione. Una presenza che diventa quasi egemonica (culturalmente ed economicamente parlando) in alcune aree geografiche, come lo Stato di San Paolo e il Sud del Brasile.<br />Questa presenza, unitamente ad evidenti affinità di carattere culturale, linguistico e religioso, fanno del Brasile il partner ideale per una nuova grande espansione della presenza commerciale ed industriale italiana su scala planetaria. Una tendenza che dovrebbe essere resa ancora più necessaria dalle diverse complementarietà esistenti in diversi settori produttivi in una comparazione socio-economica tra i due Paesi e soprattutto dal bisogno vitale – per noi italiani – di un rapporto prioritario e strategico con i principali produttori di energia.<br />E’ in questo campo, infatti, che il Brasile può vantare un indiscutibile primato anche se comparato con le altre grandi economie emergenti: autosufficiente in materia petrolifera (con in più la recente scoperta dell’ancora ‘vergine’ bacino del “pre-sal”); con un enorme potenziale, anch’esso in fase di ulteriore sfruttamento, in campo idroelettrico; e, infine, con una affermata leadership mondiale in campo di biocombustibili (alcool ed etanolo). Tutti elementi nevralgicamente centrali per lo sviluppo economico del pianeta, ai quali non possiamo non aggiungere la presenza – sul territorio brasiliano – del maggiore patrimonio di acqua dolce esistente al mondo, l’Amazzonia.<br />Un paese continentale, il Brasile, al quale l’Italia si rivolge solitamente con uno sguardo stereotipato e condizionato da fattori culturalmente e soprattutto mediaticamente rilevanti (la musica, il calcio, il carnevale) ma non con altrettanta attenzione e concentrazione quando si tratta di definire le proprie scelte e conseguenti strategie in campo politico ed economico.<br />Fortunatamente in questi anni il “partito” di chi considera centrale ed essenziale il rapporto dell’Italia con il Brasile e – attraverso di esso – con il Sudamerica, è cresciuto in qualità oltre che in quantità.<br />Una fortuita coincidenza ha voluto che proprio in queste settimane arrivassero, a Roma e Brasilia, i capi delle rispettive missioni diplomatiche di Italia e Brasile. A Gherardo La Francesca, nuovo Ambasciatore d’Italia in Brasile, e a … Viegas, nuovo Ambasciatore del Brasile in Italia, l’augurio di rafforzare con il proprio lavoro questo ideale fronte bilaterale, importante oltre che necessario non soltanto per il miglioramento delle già buone relazioni tra i due Paesi ma per un più significativo ed equilibrato rapporto tra Europa e Sudamerica.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-7041962980298574272009-02-25T15:52:00.000-08:002009-02-25T15:53:27.894-08:00LA DOLCE RIVOLUZIONE DEI PENDOLARIDa qualche mese sono diventato un “pendolare”; i pendolari, per chi non lo sapesse, sono quelle persone che – per le più svariate esigenze, ma solitamente per lavoro – fanno avanti e indietro tra la loro città di residenza e il luogo dove svolgono l’attività lavorativa; “pendolano”, appunto, da un luogo all’altro.<br />Il mio è però un pendolarismo del tutto particolare. Non si tratta nel mio caso di andare e venire tra una città ed un’altra, ma tra una nazione ed un’altra; anzi, tra un continente e l’altro.<br />Ovviamente mi riferisco al pendolarismo tra Italia e Brasile; una situazione oggi comune (anche se con ritmi e frequenze diverse a seconda dei casi) a centinaia di persone, principalmente uomini di affari o addetti al turismo.<br />E cosa si scopre “pendolando”? Niente di straordinario per chi, come tanti italiani e oriundi che vivono in Brasile, ha già vissuto questo strano e contraddittorio dualismo, che consiste nel sentirsi al tempo stesso forestiero nella propria patria e nel paese straniero. Un sentimento che ti fa spesso apprezzare cose che prima non notavi, o davi per scontate, e che improvvisamente assumono per te una importanza straordinaria. Ad un tratto sembra che quel sorriso o quella maniera di parlare sia la cosa più bella del mondo, o che mai e poi mai potresti continuare a vivere senza quegli odori e quei sapori. Ed il bello è che quel sorriso sta da una parte del continente mentre quei sapori stanno dall’altra parte, o viceversa; in una parola: ci mancherà sempre qualcosa, ovunque ci troviamo.<br />Ma, forse - ed è questa la semplice riflessione che vorrei sviluppare - le cose stanno proprio al contrario. Chi vive a cavallo tra due mondi, come anche chi ha diviso la propria esistenza tra due nazioni, si porta dietro una ricchezza unica e incommensurabile: lingue e culture diverse, ma anche valori e tradizioni, usi e costumi di popoli lontani che questa sorta di ‘transumanza’ (il passaggio cioè nel tempo e nello spazio) riesce magicamente a trasformare in una vera e propria ricchezza in grado di fare crescere e sviluppare interi Paesi e continenti.<br />Cosa sarebbe l’Italia senza le salutari contaminazioni di popoli, razze ed etnie diverse che nel corso di millenni ne hanno caratterizzato la storia, contribuendo a costruire quel Paese che oggi è da tutti considerato la culla dell’arte e della cultura mondiale?<br />E cosa sarebbe il Brasile senza il continuo mescolarsi di razze e religioni che ne hanno caratterizzato i tanti secoli della sua storia, facendolo divenire proprio per questa incredibile varietà di culture e colori forse il Paese al mondo più realmente multietnico e interrazziale?<br />Ecco allora la universale magia dell’emigrato, dell’oriundo, del pendolare: portare dentro di sé e offrire al mondo che ci circonda un universo di valori ed un contesto di riferimento singolare e sfaccettato, una mentalità aperta e flessibile in grado di superare anacronistici steccati e insuperabili divisioni.<br />La morale di tutto ciò è che il mondo è “complementare” e non autosufficiente.<br />Immaginate che monotonia un mondo tutto uguale all’Italia o al Brasile, alla Svizzera o all’Argentina. Nessuno però saprebbe immaginare un mondo senza le singole specificità culturali che questi Paesi hanno apportato; non solo, la storia ci ha insegnato che quando queste culture si incontrano i frutti che ne derivano sono dei veri e propri miracoli dello sviluppo e del cambiamento. E’ il miracolo della vita, che chi ha avuto la fortuna di conoscere e a volte di vivere sulla propria pelle o in famiglia può tranquillamente testimoniare ogni giorno.<br />Sbaglierebbe sonoramente chi a questo punto dovesse affermare che la tesi appena sostenuta sia ovvia e scontata. Sono stato recentemente in Argentina dove ho sentitto un candidato alla Presidenza della Repubblica inneggiare alla ‘purezza della razza’ e alla difesa della nazione da etnie straniere; e in Italia non è purtroppo inconsueto ascoltare – anche in Parlamento – discorsi sui pericoli provenienti dall’apertura del Paese agli stranieri e sulla inutilità del rapporto con le nostre comunità residenti all’estero.<br />E’ per questo che a volte è necessario ribadire a gran voce (in questo caso scrivere) princìpi e concetti che apparentemente farebbero parte dei valori consolidati in tutto il mondo; fare ciò equivale a volte ad aprire dei pericolosi varchi al seme del razzismo e dell’intolleranza.<br />Italiani e brasiliani abbiamo avuto la fortuna di nascere e crescere in due Paesi storicamente caratterizzati dalla loro apertura al mondo e dai grandi livelli di integrazione e solidarietà.<br />Dovremmo esserne orgogliosi e non dimenticarcene mai !Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-45779639789277176362009-01-12T12:38:00.001-08:002009-01-12T12:39:40.239-08:00"EL SENADOR" CASELLI, VERGOGNA DEGLI ITALIANI IN SUDAMERICA“È di una gravità assoluta l’affermazione del Senatore Esteban Caselli relativa alla sua intenzione di volersi candidare alle prossime elezioni presidenziali argentine”.<br />È quanto sostiene Fabio Porta, parlamentare del PD eletto in America Latina e in questi giorni in missione proprio a Buenos Aires, in merito alle affermazioni del Senatore del PDL Esteban Caselli (eletto nella stessa Ripartizione), circa la volontà di candidarsi a Presidente dell’Argentina.<br />“Tale intenzione – continua il deputato del PD – non è accompagnata da una contestuale dichiarazione con la quale il Senatore preannuncia le sue dimissioni dal Senato delle Repubblica italiana; anzi, sollecitato il tal senso, il Senatore ha escluso categoricamente tale eventualità”.<br />“Siamo dunque di fronte – prosegue l’on. Porta – ad un uso palesemente strumentale degli italiani all’estero (in questo caso la grande collettività argentina) per manovre politiche personali che nulla hanno a che vedere con i problemi dei nostri connazionali; al contrario, un tale atto getta una grave ombra di discredito sull’importante strumento del diritto di voto attivo e passivo conquistato dopo anni di giuste rivendicazioni dai milioni di italiani nel mondo”.<br />“Per questi motivi – aggiunge l’esponente del PD – mi rivolgerò al Presidente della Repubblica, supremo garante di quella Costituzione che fu modificata proprio per consentire la piena attuazione di questo diritto, affinché sia fatta chiarezza su questo caso al fine di evitare che un parlamentare italiano eletto all’estero possa calpestare, nella sostanza, una conquista tanto importante; scriverò anche ai Presidenti della Camera Fini e del Senato Schifani, chiedendo anche a loro di intervenire a difesa della piena autonomia delle nostre istituzioni e contro ogni tentativo di strumentalizzazioni a fini personali del Parlamento”.<br />“Infine mi appellerò anche al Ministro degli Esteri Frattini – è spiegato ancora nella nota di Porta – perché considero grave anche nei rapporti diplomatici tra Italia e Argentina una tale evenienza, che potrebbe alterare, in maniera negativa e con evidenti conseguenze sui rapporti tra i due Paesi, gli storici vincoli di amicizia e le stesse relazioni bilaterali”.<br />“Il Senatore Caselli – insiste l’on. Porta – è liberissimo, nella sua qualità di cittadino argentino, di candidarsi a qualsiasi carica politico-istituzionale; lo faccia però nel rispetto del suo mandato di parlamentare italiano e degli elettori che glielo hanno affidato, dimettendosi immediatamente dal Senato se confermerà la volontà di partecipare direttamente alla vita politica argentina”.<br />“Come italiano e come parlamentare eletto in Sudamerica – conclude il parlamentare del PD – provo una profonda vergogna per un simile comportamento; ancor più perché proviene da un personaggio inquietante come Esteban Caselli, al quale prima e dopo le ultime elezioni la stampa italiana e argentina ha dedicato centinaia di articoli ricordando il suo contraddittorio passato, dai periodi bui della dittatura all’alleanza con Menem, come i suoi legami con il cattolicesimo oltranzista e reazionario, le amicizie con personaggi collusi con la mafia e il narcotraffico o le sue recenti affermazioni di stampo razzista e xenofobo”.<br />“Senza dimenticare – ricorda Porta a fine nota – l’inchiesta aperta presso la Procura della Repubblica relativa ai presunti brogli elettorali avvenuti in Sudamerica, con al centro migliaia di schede elettorali di dubbia provenienza, attribuite tutte dalla stessa mano che le ha compilate al Senatore Esteban Caselli e annullate dalla Corte d’Appello di Roma”.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-16901270261703732812008-12-22T02:51:00.000-08:002008-12-22T02:52:24.364-08:00IMPORTIAMO PAPPONI ?“Importiamo Papponi”: con questo titolo il giornale italiano “Libero” ha salutato l’apertura della Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo, svoltasi a Roma lo scorso mese di dicembre.<br />Ho pensato (senza incontrare una risposta) a come si potrebbe tradurre in portoghese la parola “pappone”, che in realta’ non e’ nemmeno un termine solitamente usato in Italia, facendo parte piu’ di un lessico volgare e offensivo che di un normale vocabolario.<br />“Pappone” e’ colui che vive sulle spalle degli altri, qualcuno che vuole approfittare di una situazione, un invitato maleducato – insomma - che magari approfitta di un evento o iniziativa per trarne un beneficio personale, forse soltanto per ‘mangiare a sbafo’, cioe’ gratis…<br />Si’, avete letto e capito benissimo: un importante quotidiano italiano, diretto da Vittorio Feltri, famoso giornalista milanese, definiva in questa maniera gli oltre quattrocento delegati giunti a Roma da tutto il mondo (40 dal Brasile) in rappresentanza di alcuni milioni di italiani e italo-discendenti oggi residenti all’estero.<br />Questo titolo la dice lunga su come parte dell’opinione pubblica italiana vede gli italiani nel mondo, quelli che una volta chiamavamo “oriundi”: i figli e i nipoti di quell’esercito di emigrati che oltre ad avere salvato l’Italia di oltre un secolo fa da un collasso certo hanno poi contribuito a renderla ricca con le loro “rimesse”. Gente della quale qualsiasi Paese serio al mondo sarebbe fiero e orgoglioso, veri e propri “ambasciatori” dell’Italia nel mondo, legame permanente e unico tra il nostro Paese e i quattro continenti.<br />Eppure non tutti la pensano cosi’; eppure qualcuno ancora si vergogna di quel passato; eppure qualcuno non vuole accettare il fatto che grazie all’unica modifica fatta in sessanta anni alla nostra carta costituzionale gli italiani residenti all’estero sono oggi, grazie al voto e all’elezione di loro rappresentanti in Parlamento, cittadini con pari diritti e doveri rispetto ai connazionali che vivono dentro ai confini nazionali.<br />Tutti in Italia sanno che “Libero” e’ un giornale vicino politicamente al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi; ed e’ per questo che quel titolo di giornale mi ha destato qualche preoccupazione.<br />Non sono infatti le poche migliaia di copie vendute da un quotidiano a preoccuparmi, ma la cultura politica di riferimento al quale tale foglio informativo fa riferimento.<br />Una cultura, fortunatamente, che non pervade tutta la maggioranza di governo.<br />Ero a Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, quando il Presidente Gianfranco Fini ha pronunciato un memorabile discorso rivolto ai delegati della Conferenza ad apertura dei lavori; parole, quelle di Fini, in esatta controtendenza rispetto a quanto sostenuto da “Libero” e da certi ambienti del centro-destra italiano; parole in sintonia con l’appello rivolto ai giovani nella stessa occasione dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.<br />Perche’ allora tanta cattiveria quando si parla di investimenti relativi agli italiani nel mondo?<br />Perche’, credo, in Italia qualcuno vuole chiudere le porte al mondo, chiuderle al passato (l’emigrazione) ma anche al futuro (l’immigrazione), nella pia illusione che mettendo la testa sotto la sabbia come uno struzzo sia possibile affrontare e risolvere i problemi posti dall’acuirsi della crisi finanziaria, dalla recessione incipiente e da una globalizzazione che non fa sconti a nessuno.<br />Visione miope oltre che ingiusta e sbagliata. Non si riconosce infatti all’emigrazione ed all’immigrazione quel valore storicamente innovatore e rivoluzionario; la storia della nostra emigrazione e’ si’ una storia di sacrifici e di sofferenze, ma si e’ trasformata poi anche in storia di successo e di eccellenza italiana nel mondo. Una storia che oggi, proprio grazie a quei giovani “papponi” puo’ divenire per l’Italia nuova fonte di ricchezza, di crescita e di sviluppo.<br />Solo la cecita’ o l’ignoranza arrogante di qualcuno puo’ permettersi il lusso di non capirlo.<br />E’ per questo che ho subito condiviso l’immediata e indignata protesta dei giovani italo-discendenti riuniti a Roma. Mi ha fatto piacere ascoltare e leggere le parole del Ministro della gioventu’ italiano, Giorgia Meloni, arrabbiata e scandalizzata come me per quel titolo ma anche fieramente sostenitrice della validita’ di quell’iniziativa.<br />Ho avuto modo di condividere quasi una settimana di lavori, dibattiti, riunioni e discussioni con questi ragazzi: ho apprezzato la qualita’ e la profondita’ dei loro ragionamenti e dei lavori conclusivi delle loro commissioni tematiche. Sono anche arrivato a lamentare l’assenza tra i giovani italiani che vivono “in Italia” dello stesso spirito di riflessione critica e di proposizioni operative in direzione del futuro.<br />A questo tipo di esperienze, semmai, andrebbe garantito un seguito ed una adeguata continuita’. Purtroppo le scelte dell’attuale governo vanno di fatto piu’ nella direzione del titolo di “Libero” che nella linea di quanto affermato dal Presidente della Camera o dal Ministro della Gioventu’.<br />E’ l’Italia ad avere bisogno - in questo momento come mai nel proprio passato - dell’energia e dell’entusiasmo dei suoi figli e pronipoti che vivono all’estero, molto meno il contrario !<br />Voglio ancora sperare che la saggezza e la lungimiranza della maggioranza dei parlamentari e dei rappresentanti delle nostre istituzioni sara’ in grado di capirlo, prima (lo ripeto stancamente) che sia troppo tardi…Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-71541902600333102192008-12-06T09:59:00.000-08:002008-12-06T10:00:19.522-08:00PER RIPARTIRESiamo nel cuore di una “crisi storica” segnata da una recessione globale e dalla minaccia costante di quel terrorismo che ha segnato il mondo dopo l’11 settembre. L’economia – non solo la finanza speculativa – è investita da previsioni allarmanti. Del resto basta guardare a noi. Un milione i posti di lavoro a rischio da qui a un anno. Quattrocentomila i precari a casa entro Natale, e tra questi moltissime donne. Una diffusione della povertà che lambisce e recluta parte del ceto medio. Imprese, anche coraggiose nel modo di stare sui mercati, dal futuro ipotecato. Il tutto in un Paese col bilancio pubblico che conosciamo, coi ritardi e le anomalie note. Fino a ieri eravamo una Nazione perennemente in bilico dentro un G8 che dominava il mondo. Oggi muore il G8 sostituito da un altro club dove per noi difficilmente ci sarà uno spazio significativo. Mentre restiamo una Nazione che non ha risolto il suo problema di fondo: l’aver rinviato per anni una profonda e giusta modernizzazione in termini di crescita e di espansione di opportunità, diritti, responsabilità. Un’Italia declassata: questo è il rischio. Un Paese isolato nelle sue lentezze, burocrazie, ineguaglianze. Dove le élites della politica e della società, in questo appaiate, potrebbero continuare nella mortificazione di talenti e persone per tutelare gli interessi e le rendite di pochi. Un grande paese che letteralmente può perdersi. Spegnersi. Eppure le risorse per reagire ci sono. Ma vanno viste, riconosciute, valorizzate. Il che è una delle ambizioni morali e politiche del Pd.<br /><br />Questo è il quadro: un mondo che cambia in modo vorticoso. Un’Europa alla ricerca della propria funzione. Un’Italia che dovrebbe avere il coraggio, soprattutto adesso, di una “rivoluzione dolce”. Rivoluzione di idee, mentalità, contenuti economici e sociali. E che invece è in mano a un governo – a una destra – che si limita a rinnovare le cause della nostra decadenza in nome della triade “Dio Patria e Famiglia”. La realtà è che mai come ora siamo di fronte a snodi che investono il nostro destino. Il futuro per le prossime cinque o sei generazioni. La sorte stessa della “democrazia repubblicana”. E non perché siano in pericolo principi costituzionali formali ma per lo slittamento progressivo da una democrazia rappresentativa a un “autoritarismo subdolo”. Un processo che svuota delle sue prerogative un Parlamento “nominato”, che riduce gli spazi della partecipazione, che amplifica l’ossessione mediatica, che prosciuga le residue forme di civismo in un Paese di suo poco incline al rispetto delle regole e dell’etica pubblica.<br /><br />Sono solo alcuni dei temi che il Pd deve affrontare. E la ragione che ha spinto molti tra noi a porre da tempo il nodo della sua cultura politica e del significato autentico di una “vocazione maggioritaria” che non va intesa come “autosufficienza”. Che ruolo immaginiamo per l’Italia dei prossimi anni? Che modello di democrazia scegliamo di difendere o promuovere, a partire dal “nostro” federalismo? Come pensiamo di affrontare il tema della crescita: quali terapie d’urto per creare nuova occupazione, per una più equa distribuzione dei redditi, per ridare dignità al lavoro? Che concezione abbiamo di sicurezza e legalità, della cittadinanza, del dialogo sulla pace e sui diritti umani? E come pensiamo di rapportarci a quelle domande di senso che ovunque investono le coscienze e responsabilizzano i parlamenti, a partire dalla difesa del principio della laicità nell’epoca dei fondamentalismi e di temi etici inediti? Insomma la vera domanda è come una politica “autonoma” intende rinnovare quella trama di diritti e doveri, quella comune responsabilità che distingue una società libera e consapevole, e che è l’unica strada per rilanciare una crescita competitiva, giusta socialmente e sostenibile nel suo impatto ambientale.<br /><br />Si dice che guardiamo a Obama. Ma a quale dimensione di Obama? Quella che coltiva nel presente le grandi passioni civili del popolo americano? O anche l’Obama promotore di un programma di innovazione dell’economia e della coesione sociale? O ancora, l’Obama dei diritti civili e della tutela di ogni minoranza? E l’Europa? Possiamo noi – Democratiche e Democratici italiani – costruire oltre Atlantico il nostro campo di riferimenti ideali e culturali? O non è anche dalla storia e dalle radici profonde dell’Europa – della nostra civiltà e memoria – che dobbiamo trarre spunto per consolidare l’innovazione che ci siamo candidati a promuovere e governare? Questione che attiene anche al nodo della nostra collocazione futura nel Parlamento di Strasburgo.<br /><br />Domande serie. Fino a quella – non la meno rilevante – che riguarda il modello di Partito che vogliamo costruire. Quale sarà nei fatti la sua articolazione territoriale, il suo radicamento. Quale sarà il peso dell’autonomia dei partiti regionali, nella definizione della propria cultura politica, delle alleanze, della selezione delle classi dirigenti. Perché una cosa è un partito federale. Altra sarebbe una confederazione di partiti. E ancora: come combineremo la spinta alla partecipazione delle primarie a tutti i livelli con una vita democratica che non si riduca solo a quell’aspetto, pure fondamentale?<br /><br />Non è solo un elenco di temi. Il punto è che la risposta a questi e altri snodi fisserà la cornice culturale del Partito Democratico. Quel Partito che è la risorsa sulla quale abbiamo investito. E che rappresenta per ciascuno di noi la vera speranza di avvenire per il Paese.<br /><br />Non possiamo assistere in silenzio a ciò che avviene sotto i nostri occhi. Un grande progetto di unità e innovazione rischia di smarrirsi dentro logiche di rendita e logoramento. A tutti i livelli. Prima di tutto al vertice, talvolta insofferente verso un confronto di merito sulle scelte che si compiono. Sul territorio dove i conflitti si moltiplicano, e spesso per ragioni di assetto o di potere. Nonostante ciò un “popolo democratico” esiste. Resiste. Reagisce, a partire dai nostri Circoli. Come si è visto al Circo Massimo. O nelle proteste di studenti, insegnati, lavoratori. Ma è lo scarto tra le due dimensioni – il paese reale e la vita politica e democratica del Pd – a creare incertezza, sconcerto, e in alcuni casi un abbandono silenzioso. Di fronte a questa situazione ognuno deve rimboccarsi le maniche. Non basta più dire che siamo nati solo da un anno, che si sono fatte molte cose buone e che il tempo premierà il nostro coraggio. Né il punto è una “resa dei conti” che riduca tutto alla questione della leadership. Noi dobbiamo affrontare e risolvere i problemi. E per farlo non è sufficiente ripetere che le “correnti” sono il male da combattere. E’ una frase di buon senso ma prescinde dal fatto che le correnti ci sono. Selezionano le persone sulla base della fedeltà più che del merito, e la maggioranza di chi le contesta – fino dentro il coordinamento nazionale – non può dire di esserne estraneo. Il risultato è che per i più “le correnti fanno male”, salvo la propria. Ma non è pensando a questo modo che si fanno dei passi avanti.<br /><br />Per tutte queste ragioni è consolatorio ridurre la discussione sul nostro futuro allo scontro tra singole personalità. Soprattutto non aiuta. Il dovere di ognuno è dibattere dell’avvenire dell’Italia e della nostra democrazia. Senza reticenze. Proprio in nome dell’unità di un partito nel quale potersi sentire “comunità” è giusto confrontarsi in modo libero e limpido su idee e proposte per dare vita finalmente a un “pensiero democratico”. Un confronto dove l’appartenenza ai luoghi di tutti sia più forte del sostegno a singole componenti. Che poi è la condizione per una mescolanza che possa dar vita a un pluralismo di segno diverso. Certo, le emergenze incombono. La crisi economica e sociale, le elezioni europee e amministrative. E soprattutto l’azione quotidiana, il “fare”. Che passa dal sostegno alle nostre amministrazioni. E dalla qualità della nostra opposizione. In Parlamento, nella società, in ogni comune, provincia, regione. Ma proprio quelle emergenze impongono di affrontare i nodi non risolti nella costruzione del Pd. Perché un equivoco va superato. L’idea che la costruzione paziente dell’unità derivi dall’accantonamento della discussione sulle scelte. Scelte chiare e comprensibili a tutti. La realtà è che il Partito Democratico se vuole riacquistare quella credibilità delle “sue” parole, che oggi pare aver smarrito, deve puntare sulla limpidezza delle sue posizioni. E quella limpidezza non può essere il frutto di rimozioni o unanimismi di facciata ma il prodotto di una discussione franca e appassionata. Noi vogliamo contribuire a farlo, nelle sedi e nei luoghi dove ciò sarà concretamente possibile e nella stessa Conferenza Programmatica. Lo vogliamo fare con umiltà. Per amore della politica. Per passione verso il Partito nel quale crediamo. E per un’idea di partecipazione che dia valore a ogni persona, alla sua autonomia critica e all’impegno di ciascuno.<br /><br />2 dicembre 2008Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-15933174465497914852008-11-12T04:13:00.001-08:002008-11-12T04:13:50.355-08:00LULA E OBAMA: UN NUOVO MONDO E' POSSIBILE !Mentre stringevo la mano al Presidente Lula, qui a Roma a pochi giorni dall’elezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti d’America, pensavo tra me e me: “Questo secolo e’ iniziato con l’elezione di un metalmeccanico nordestino a Presidente della Repubblica del Brasile e adesso prosegue con un afro-americano per la prima volta Presidente della piu’ grande potenza mondiale: forse non e’ soltanto uno slogan continuare a dire che ‘un nuovo mondo e’ possibile’ !”<br />La vittoria di Obama e’ sicuramente un evento di portata storica straordinaria, e per capirlo basta osservare l’effetto, non soltanto mediatico, della sua elezione in tutto il mondo. Il mondo africano, l’Asia ed il medio-oriente, l’Europa e il Sudamerica hanno seguito come non accadeva da anni l’andamento e l’esito della campagna elettorale americana.<br />Gli otto penosi anni del Presidente George Bush, segnati dalla disastrosa guerra in Irak e terminati con una delle piu’ gravi crisi finanziarie mondiali dopo il crollo delle borse del 1929, sembravano diventati un macigno capace di chiudere e mortificare definitivamente le speranze di un mondo nuovo, all’insegna di un multilateralismo in grado di superare l’unilateralismo americano rafforzatosi dopo il crollo del sistema sovietico che aveva caratterizzato la fine del secolo scorso.<br />La voglia di cambiamento, divenuta in questi ultimi mesi quasi un imperativo categorico, ha cosi’ accompagnato e portato al trionfo elettorale Barack Obama, sospinto dalla forza delle nuove generazioni bianche, dagli ispanici e dagli afro-americani, come anche da milioni di “tifosi” che a qualsiasi latitudine della terra hanno sperato e creduto fortemente in un cambiamento capace di incidere anche su uno scenario internazionale cosi’ trasformatosi in questi ultimi anni.<br />Torniamo a Lula. Nel corso del G20 dei Presidenti delle Banche Centrali e dei Ministri dell’Economia, il Presidente brasiliano ha chiesto a gran voce “nuove regole per governare la crisi” e soprattutto “una nuova architettura finanziaria” in grado di dare peso e voce ai Paesi emergenti come anche a quelli in via di sviluppo. Anche questa e’ una richiesta di cambiamento ormai non piu’ eludibile e prorogabile. Il prossimo anno saranno le economie del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) a sospingere l’economia mondiale; tutti gli altri Stati avanzati affronteranno la recessione mondiale. Un dato come questo e’ sufficiente per spiegare l’entita’ di una vera e propria ‘rivoluzione’ che in pochi anni ha sconvolto il sistema internazionale e per motivare la necessita’ di un nuovo ordine mondiale in grado di regolare i processi economico-finanziari, a partire dal commercio internazionale, ancora eccessivamente e ingiustamente ingessato da blocchi e protezioni volute da quelli che una volta consideravamo i paesi ricchi (e che adesso non lo sono piu’ tanto, mentre altri attori economici si sono affacciati sulla scena mondiale).<br />E’ per queste ragioni che l’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti e’ un avvenimento storico che va al di la’ delle semplici considerazioni di politica interna americana, ma anche al di la’ delle ovvie ricadute internazionali dell’insediamento di un nuovo inquilino alla Casa Bianca.<br />Vista dall’Italia l’elezione di Obama ha sicuramente un significato particolare; proprio in questi mesi il nostro Paese e’ alle prese con una crisi economica che non ha precedenti nel dopoguerra; al tempo stesso il grande flusso di immigrati, quasi sempre giunti in Italia per fare lavori che i nostri connazionali non fanno piu’, ha fatto crescere in maniera preoccupante episodi di razzismo e incivilta’. L’attuale governo ha spesso “soffiato sul fuoco”, sfruttando demagogicamente tale xenofobia e alimentando sentimenti di odio razziale attraverso precise misure legislative (le impronte digitali per schedare i bambini rom, le classi separate per immigrati…); le infelici “battute” del Presidente Berlusconi sul neo-Presidente degli Stati Uniti “bello, giovane e… abbronzato” non migliorano di certo tale situazione e, come ha giustamente detto la figlia di Bob Kennedy, “sono un pessimo esempio per l’Italia che ha problemi di integrazione etnica”.<br />Sono tante quindi le ragioni che ci spingono a guardare con speranza e fiducia all’America del 21 gennaio 2009, data della celebrazione ufficiale di insediamento del Presidente Barack Obama alla Casa Bianca.<br />“Il mondo cambia” si leggeva su un manifesto affisso in tutta Italia all’indomani delle storiche elezioni americane. Il nostro augurio e’ che questo cambiamento sia seguito dalla costruzione di un nuovo modello di relazioni internazionali, fondato su un reale multilateralismo e su una corretta ed equa integrazione dei sistemi economici e commerciali; un modello in grado di dare nuovo slancio alle economie in recessione dei Paesi avanzati ma anche di sostenere la crescita dei Paesi emergenti.<br />Solo da questo positivo “choc” potra’ nascere il ‘mondo nuovo’ che tutti auspichiamo, capace di integrare sempre piu’ i Paesi in via di sviluppo, oggi terribilmente e inevitabilmente ai margini di un sistema finanziario internazionale interessato soltanto a “salvare il salvabile” e non piu’ in grado di dare risposte credibili al futuro del sistema politico-economico mondiale.Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-4535995454934702522008-11-01T17:59:00.000-07:002008-11-01T17:59:28.362-07:00PETIZIONE PER IL VOTO DI PREFERENZA IN ITALIA E IN EUROPA<a href="http://firmiamo.it/sign/add">Aggiungi la tua firma</a>Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-90999864842044155782008-11-01T17:11:00.000-07:002008-11-01T17:11:32.908-07:00PETIZIONE CONTRO I TAGLI AGLI ITALIANI NEL MONDO<a href="http://firmiamo.it/sign/add">Aggiungi la tua firma</a>Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2654124087761881364.post-21175779341393979552008-10-04T07:39:00.000-07:002008-10-04T07:41:17.625-07:00E LULA VA...ANCHE IN ITALIA !La prossima visita del Presidente Lula in Italia cade in un momento particolarmente difficile per l’economia italiana ed estremamente positivo per quella brasiliana.<br /><br />E’ molto grande l’aspettativa per la prossima visita del Presidente Lula in Italia.<br />Una visita “di Stato” come si definiscono in gergo diplomatico le visite ufficiali di un Capo di Stato in un paese straniero.<br />Il viaggio di Lula a Roma, in effetti, cade in un momento molto particolare e potrebbe rappresentare un’occasione unica per rilanciare i rapporti tra i due Paesi, soprattutto sul piano economico e commerciale.<br />Un anno e mezzo fa era stato il Capo del Governo italiano, Romano Prodi, a venire in Brasile; in alcuni di noi e’ ancora vivo l’incontro con la comunita’ italiana a San Paolo e la successiva firma, a Brasilia, di un dettagliato protocollo di intesa composto da ventisei articoli; il documento poneva l’accento, nella sua premessa, sulla grande e storica presenza della collettivita’ italiana in Brasile e si articolava intorno ai principali settori di sviluppo delle relazioni bilaterali, con una particolare enfasi su quello energetico e delle infrastrutture.<br />La visita di Prodi non era un fatto isolato, inserendosi nel quadro del grande impulso che il Governo italiano stava dando alle relazioni con il Sudamerica, dopo il precedente quinquennio guidato dal centro-destra di Berlusconi (2001-2006) segnato da una scarsissima attenzione proprio ai rapporti con questo continente.<br />Oggi Berlusconi e’ nuovamente a Capo del Governo italiano e ci si aspetterebbe, anche alla luce della crisi italiana e della forte crescita del Brasile, un cambio di registro.<br />La speranza, cioe’, e’ che anche se la visita del Presidente brasiliano in Italia e’ in qualche modo il risultato del grande lavoro diplomatico portato avanti dall’allora Ministro degli Esteri D’Alema, l’Italia del 2008 sappia cogliere appieno la grande opportunita’ costituita dalle prossime giornate italiane di Lula.<br />La scelta di visitare - oltre naturalmente a Roma - le citta’ di Torino e Milano e’ indicativa del “taglio” che il Governo brasiliano vuole dare a questo viaggio: un forte impulso all’interscambio commerciale ed alle relazioni economiche tra i due Paesi, che - a detta di tutti gli osservatori - possono andare molto al di la’ dell’attuale livello (significativo ma non straordinario).<br />E’ chiaro che ci si aspetta anche un nuovo impulso ai rapporti istituzionali tra i due Paesi; e qui vogliamo sperare che l’Italia, contrariamente a quanto fatto in questi ultimi mesi, voglia sostenere con forza l’ingresso delle nuove potenze emergenti – Brasile in testa – all’interno dell’ormai vecchio gruppo dei “G8”, non piu’ rappresentativo del nuovo scenario geopolitico e geoeconomico mondiale.<br />La recente drammatica esperienza dell’Alitalia dovrebbe poi avere insegnato al nostro Paese, una volta per tutte, che nessuno – e in primo luogo l’Italia, che non dispone di grandi risorse naturali ed energetiche – puo’ vivere piu’ di rendita; soprattutto nessuno puo’ basare la propria crescita ed il proprio sviluppo sulle proprie forze e la propria storia, anche se si tratta di una nazione importante come l’Italia.<br />Per troppi anni l’Italia ha goduto, in un certo qual modo, di tale posizione di rendita; la posizione geografica, la storia millenaria, il possesso di gran parte del patrimonio storico e culturale dell’umanita’ sembravano di per se’ garantire allo “stivale” una fortuna perenne ed un ruolo sempre centrale nel novero delle potenze mondiali.<br />Oggi tutto questo non basta piu’, e non e’ nemmeno piu’ sufficiente da sola la grande forza trascinante del sistema italiano delle piccole e medie imprese, vere protagoniste del “miracolo economico” che nei decenni trascorsi aveva sospinto in alto il nostro PIL.<br />Oggi, lo ripeto, sappiamo che questo non basta piu’.<br />La vicenda Alitalia ha confermato alcuni vizi antichi del “Sistema Italia” e una certa fatalista e narcisistica tendenza al “fare da se’”, quando non la napoletana filosofia del “tirammo innanze”…<br />L’Italia non ci sarebbe piu’, economicamente parlando, fuori dall’Euro e dall’Europa; e questo nonostante sia diffusissima tra gli italiani l’opinione contraria, ossia che la moneta unica europea ha fatto male e non bene al Paese.<br />L’Italia non ci sara’ piu’, economicamente e demograficamente parlando, se non sapra’ aprirsi con saggezza e intelligenza al Mondo.<br />E in questo sforzo, ci sia permesso di dirlo come italiani all’estero, sono proprio gli italiani che sono nel Mondo a poter dare un contributo decisivo.<br />Tanto alle politiche di integrazione a favore dei tanti stranieri che entrano tutti gli anni all’interno dei nostri confini, quanto alle potenzialita’ di sviluppo e di crescita, che potrebbero essere accentuate da una positiva valorizzazione delle nostre grandi comunita’ di italiani e italo-discendenti.<br />Purtroppo non sembra essere questa la strada imboccata dall’attuale governo italiano: la chiusura e a volte la repressione nei confronti dell’immigrazione straniera e la scarsissima attenzione data alle politiche per gli italiani nel mondo hanno caratterizzato negativamente proprio i primi mesi del nuovo mandato di Berlusconi.<br />Noi che crediamo in questi valori non ci arrendiamo; e dico questo perche’ sono convinto che e’ in primo luogo l’Italia ad avere bisogno dei tanti milioni di italiani all’estero, piu’ che il contrario.<br />Passare, lo abbiamo detto piu’ volte, dalla voce “spese” a quella “investimenti”: solo cosi’ sara’ possibile invertire una tendenza culturale, prima che di politica economica, che in questi mesi e’ apparsa quasi irreversibile.<br />La visita del Presidente Lula potrebbe essere un tassello importante e forse decisivo per chi crede e porta avanti queste convinzioni: si tratta, in fin dei conti, del Presidente del Paese dove vive la piu’ grande comunita’ di italo-discendenti al mondo e di una delle potenze economiche che piu’ cresce e si sviluppa, in settori strategicamente interessanti se non addirittura complementari per l’economia italiana.<br />Buon viaggio, Presidente, e in bocca al lupo…!Fabio Portahttp://www.blogger.com/profile/15299063605792939794noreply@blogger.com1