terça-feira, 30 de novembro de 2010

LA POLITICA DEL “FAIR PLAY”

Può esistere un nesso tra impegno politico e pratica sportiva?

Non sono mai stato, né mi sono mai sentito un “politico di professione”; eppure ho sempre fatto politica, magari a volte senza esserne pienamente consapevole, da quando bambino sono stato prima ‘lupetto’ e poi ‘scout’, poi ancora dirigente locale e nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, quindi obiettore di coscienza (al servizio militare) in servizio civile alternativo, sindacalista e cooperante (responsabile per programmi di cooperazione internazionale allo sviluppo).
Ero attratto, anche per questioni familiari (un fratello Vice Sindaco, un papà sindacalista, uno zio Presidente di Regione…), dall’arte della politica, ma al tempo stesso diffidavo dagli intrighi e dalle liti, dagli accordi sottobanco e dalle discussioni infinite e a volte senza risultato alcuno tipiche della politica.
Ad un certo punto, avevo 14 anni, pensavo che il mio futuro fosse nello sport; facevo parte di una squadra di pallavolo e per tre anni credo di avere trascorso più tempo in palestra che sui libri.
Al liceo le cose andarono diversamente: lo studio e gli impegni associativi ebbero la meglio su quelli agonistici, ma credo che la l’esperienza sportiva mi sia rimasta dentro e che abbia permeato anche il mio impegno politico.
La pallavolo è uno sport molto praticato dai giovani, in Italia come in Brasile, anche se purtroppo non gode dell’attenzione dei grandi mezzi di comunicazione di massa, e quindi delle risorse, che fanno del calcio (anche in questo caso: in Italia come in Brasile) lo sport più amato, praticato e ( $$$ ) sponsorizzato.
Due sono le caratteristiche che fanno del volley uno sport a mio parere straordinario: il fondamentale e necessario senso della squadra da un lato e la mancanza del contatto fisico con l’avversario dall’altro.
Nel calcio è possibile che un campione “faccia la differenza” e gli annali calcistici sono pieni di esempi che dimostrano questa tesi; è ovvio che anche il calcio, come tutti gli sport di equipe, si fonda su un impegno coordinato di un gruppo di atleti ma l’equilibrio tra il ruolo del campione (o del “craque”) e il resto della squadra non sempre è bilanciato a favore di quest’ultima.
Nella pallavolo l’equipe è tutto, e questo è anche favorito e reso necessario dal continuo turn-over di giocatori nel corso della stessa partita.
Altra caratteristica, forse ancora più esclusiva, è quella di giocare tra due gruppi che si fronteggiano ma non arrivano mai a toccarsi. Se ci pensiamo bene un caso quasi unico tra gli sport di squadra, che basano una parte importante del loro agonismo e anche dello spettacolo nel contatto, se non nello scontro fisico, con l’avversario.
Non si tratta di un dettaglio: la mancanza dello scontro fisico costringe l’atleta a concentrarsi al massimo sulla perfezione del gesto, a raggiungere una perfetta intesa con i propri compagni di squadra, a scatenare la propria forza fisica sul pallone e non sul suo rivale.
Pensandoci bene, credo proprio che quelle lunghe ore e quegli anni trascorsi in palestra non siano passati invano; a beneficiarne non è stato soltanto il mio fisico ma la mia testa, e sicuramente il politico ha appreso non poco da quell’insegnamento sportivo.
Se la politica di oggi fosse basata più sul ‘gioco di squadra’ e meno sul leaderismo populista di alcuni personaggi e se il dibattito anche più acceso con gli avversari fosse meno ‘gridato’ e più ragionato, più concentrato sulla palla e quindi sui contenuti e meno sulla demolizione della fazione rivale probabilmente le nostre società, i nostri Paesi ne trarrebbero un grande beneficio.