sábado, 24 de julho de 2010

Frankfurt, Vancouver, Buenos Aires…

I giornali italiani non ne hanno dato notizia, ma nelle scorse settimane in tutto il mondo è successo qualcosa di davvero straordinario (nel senso letterale di evento “fuori dall’ordinario”): i rappresentanti democraticamente eletti da tutti gli italiani che vivono all’estero si sono mobilitati ed hanno protestato in forma unitaria contro la politica dell’attuale governo italiano.
Alla protesta infatti hanno partecipato tutti i membri del Consiglio Generale degli Italiani all’estero e tutti i Presidenti dei Comites; i Comites sono gli organismi rappresentativi di quelle realtà territoriali dove risiede un numero pari o superiore ai tremila abitanti, mentre il CGIE è un organismo di livello intermedio (tra i Comites e i parlamentari eletti all’estero), eletto dai consiglieri dei Comites e dalle associazioni.
Nel corso di tre assemblee congiunte di Comites e Cgie dei Paesi europei, di quelli extraeuropei di lingua anglofona e dell’America Latina, rispettivamente a Francoforte, Vancouver e Buenos Aires, i rappresentanti degli oltre quattro milioni di italiani residenti all’estero hanno voluto all’unisono lanciare un grido di allarme (forse l’ultimo) al governo e a tutte le istituzioni italiane.
Nonostante la conquista dell’esercizio del voto, rafforzata dalla presenza in Parlamento di deputati e senatori residenti all’estero, le comunità italiane nel mondo hanno infatti visto diminuire in questi ultimi anni il livello di piena fruizione dei loro diritti sociali, e oggi vedono messo in discussione anche il loro pieno esercizio del diritto-dovere di partecipare alla vita democratica attraverso il sistema di rappresentanza che avevano costruito dopo anni di lunghe lotte e rivendicazioni.
Facciamo qualche esempio, per uscire dalla retorica della politica ed essere più chiari.
Cosa succederebbe in Italia se, allo scadere del naturale mandato di un Comune o di una Regione, il Parlamento decidesse che – magari in attesa dell’approvazione di una nuova legge che interviene su questi stessi organismi – le elezioni per il rinnovo di tali enti sarebbero rimandate di due o tre anni, mantenendo nel loro posto tutti gli amministratori eletti per un mandato di soli cinque anni?
E’ quello che questo governo sta facendo proprio in questi giorni, con il sostegno decisivo della maggioranza del Parlamento italiano che non ha esitato nell’approvare un decreto che rinvia di ulteriori due anni (dopi il rinvio di un anno dal 2009 al 2010) le elezioni di Comites e Cgie.
E cosa succederebbe in Italia se da un giorno all’altro il governo decidesse che la metà delle persone indigenti che hanno diritto a medicinali gratuiti o all’assistenza sociale perderebbero questo diritto a partire, lo ripeto, dal giorno successivo alla riduzione dei relativi stanziamenti?
Anche in questo caso si tratta di quanto è successo con l’assistenza socio-sanitaria a favore di quegli italiani residenti all’estero (perlopiù nati in Italia) che si trovano per le disgrazie di una vita piena di sacrifici in assenza di un reddito sufficiente a garantire a loro stessi le condizioni minime di sopravvivenza.
E cosa succederebbe in Italia se una persona anziana senza alcun reddito presentasse regolare domanda, ai sensi di quanto previsto dalla nostra carta costituzionale, per ricevere una pensione sociale per vivere degnamente gli ultimi anni della sua vita e il governo si negasse a corrisponderla allegando il fatto che il cittadino in questione non aveva vissuto dieci anni consecutivamente nella stessa città?
E’ quanto succede da un paio di anni ai nostri anziani poveri che, rientrando in Italia da una vita di emigrazione e quindi spesso di sacrifici all’estero, si vedono negato tale diritto perché non hanno vissuto dieci anni consecutivi nel Paese.
E la lista delle palesi ingiustizie potrebbe continuare, anzi continua.
Con un ultimo e purtroppo noto esempio: cosa succederebbe in Italia se alla richiesta di un documento anagrafico presso un ufficio pubblico il funzionario rispondesse che per il suo rilascio dovranno passare sei o otto anni?
E’, lo sanno in tanti, quanto continua a succedere presso i consolati italiani in Brasile, gli unici al mondo dove non si riescono a smaltire in tempi civili i processi di cittadinanza.
Sì, l’unico Paese, visto che nella vicina Argentina le sedi consolari italiane sono riuscite ad utilizzare positivamente le poche risorse umane e finanziarie della cosiddetta operazione “task force”: un progetto, voluto dal Governo Prodi e attuato dall’attuale, che aveva come obiettivo finale l’azzeramento di questa lunga e vergognosa fila di italiani in attesa del riconoscimento del loro diritto di cittadinanza.
Contro tutto questo abbiamo manifestato in Europa, ma anche in Nordamerica e nel Sudamerica.
Abbiamo voluto dire così alla nostra patria lontana quanto è grande il rischio di una progressiva e forse radicale e definitiva secessione tra le due Italie; e questa volta non stiamo parlando dell’Italia del Nord e del Sud ma dell’Italia dello stivale e di quella, altrettanto grande, che vive fuori dalla penisola.

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