domingo, 13 de setembro de 2009

SUL DIBATTITO EMIGRAZIONE - IMMIGRAZIONE

LETTERA AL DIRETTORE DE "LA VOCE D'ITALIA", MAURO BAFILE

Caro Mauro,
vorrei raccogliere la tua riflessione sulla discussione che si è aperta sulle affermazioni fatte dal Presidente Fini in un incontro patrocinato dalle ACLI, non tanto per la chiamata di correo da te fatta nei confronti degli eletti della Circoscrizione Estero (v. Inform n. 162 del 7 settembre, http://www.mclink.it/com/inform/art/09n16209.htm, ndr) quanto per l’obiettiva rilevanza delle questioni sottese alla polemica che su di esse si è sviluppata.
Dunque il Presidente Fini, nel suo convinto impegno volto a sostenere la semplificazione delle procedure di concessione della cittadinanza ai figli nati in Italia degli immigrati e l’estensione agli stessi dei diritti politici (in particolare del voto in loco) si è lasciato andare a un confronto con i figli dei nostri emigrati che, a suo avviso, in molti casi ambirebbero alla cittadinanza italiana soprattutto per avere il passaporto comunitario da usare per migrare in altri Paesi.
Non ho esitazione a di chiara re chiara mente il mio totale accordo con le posizioni espresse sugli immigrati in Italia e l’apprezzamento per la coerenza con cui Fini difende questo suo orientamento tra la diffusa ostilità di importanti componenti della sua parte politica. Nello stesso tempo e con la stessa nettezza esprimo la mia contrarietà ad un riferimento improprio e ingiusto ai discendenti degli italiani all’estero, assimilati sommariamente ad una minoranza di persone che userebbe surrettiziamente la cittadinanza per raggiungere altri scopi. Mi rendo conto che la comparazione usata dal Presidente Fini è stata fatta non per puntare il dito contro gli italiani all’estero, ma per dare forza e motivazioni alla difficile battaglia che sta conducendo, non di meno quelle considerazioni sono sbagliate per gli equivoci che possono ingenerare e per il fatto che provengono dalla terza carica della Repubblica, a cui si richiede ponderazione ed equilibrio.
Chi, come me, vive in America Latina, dove il problema delle richieste di cittadinanza si presenta con i numeri e i risvolti a tutti noti, spesso evocati a sproposito, sa bene che esiste un ritorno diffuso e sincero per un’italianità declinata non solo in termini civili e politici, ma culturali ed etici. E se ci sono molti giovani che non parlano la nostra lingua e conoscono poco il nostro Paese, questo non può rappresentare un motivo di discriminazione nei loro confronti, ma semmai di riflessione critica sui limiti delle nostre politiche culturali all’estero, che questo governo sta ulteriormente e tragicamente ridimensionando.
Detto questo, però, non sento di essermi messo l’animo in pace e di passare al punto successivo nel sempre lungo elenco delle polemiche sugli italiani all’estero. Perché il problema della cittadinanza è solo la punta più visibile dell’iceberg che da anni sta andando alla deriva in acque sempre meno limpide, senza riuscire a trovare un approdo convincente. Sto parlando, evidentemente, della transizione sociale e culturale di un Paese come il nostro, che dopo avere conosciuto una delle emigrazioni più intense della storia moderna, sta vivendo oggi una diversa esperienza di emigrazione, talvolta mistificata sotto la dizione di “nuove mobilità”, e un ininterrotto flusso di immigrazione che porta, allo stesso tempo, grandi benefici economici e sociali e non meno seri problemi di convivenza civile. Si tratta di tre aspetti distinti e uniti che attengono al futuro dell’Italia: i rapporti con le comunità di origine italiane all’estero, eredi della grande diaspora degli italiani; lo sforzo di recupero e di utilizzazione, sia pure in un ambito ampio, anche sovranazionale, delle giovani energie e competenze che si stanno allontanando dai luoghi d’origine, com’è accaduto per milioni di emigranti; l’integrazione nel tessuto produttivo e nella società civile dei migranti che scelgono l’Italia come ambiente di lavoro e di vita. Tre profili, dicevo, un solo problema, dalla cui risoluzione dipenderà non solo il livello di modernizzazione e di internazionalizzazione che saremo riusciti ad assicurare al Paese, ma anche la qualità della nostra democrazia. Una qualità ancorata a valori e il valore della memoria e della riconoscenza non può disgiungersi da quello dell’accoglienza e del rispetto, come noi italiani all’estero abbiamo appreso nel corso di una secolare vicenda.
Le migrazioni, dunque, nel loro insieme, sono il solco più profondo scavato nella storia e nell’attualità della nostra vicenda nazionale e l’errore più grande che si possa commettere è tentare di separare i processi reali in cui esse s’incanalano o, addirittura, mettere in contrasto le forze che da esse si generano. E’ quello che purtroppo sta accadendo in Italia per la prevalenza delle parti più oltranziste e xenofobe nello schieramento di centrodestra e per il modo in cui vengono strumentalmente alimentati gli impulsi più irrazionali che si sviluppano nelle viscere della società, soprattutto in momenti di crisi come questi.
Ora, caro Mauro, se non si vogliono mandare messaggi nell’etere il compito di tutti, soprattutto di coloro che fanno politica, è quello di valutare quali siano le forze capaci di sostenere questa difficile battaglia e come si possano mettere insieme, al di là di artificiose differenze ideologiche. In questa ottica non ho dubbi che il futuro della nostra società e la qualità della nostra democrazia possano essere costruiti solo con uno sforzo comune e trasversale, volto ad impedire la deriva di intolleranza e di xenofobia che sembra percorrere il Paese e a costruire una società al suo interno coesa e integrata e al suo esterno capace di confrontarsi con le dinamiche internazionali.
Da questo punto di vista, nonostante le forti differenze politiche esistenti, non ho esitazione a dire che quando Fini chiede il voto in loco per gli immigrati e la cittadinanza per i bambini nati in Italia o quando Tremaglia di chiara il suo orrore per la strage degli innocenti che quotidianamente si rinnova davanti alle nostre coste e chiede umanità per i disperati, sento che quel loro impegno corrisponde ad un obiettivo che deve essere di tutti i democratici, anzi semplicemente di tutte le persone civili. Credo, anzi, che in questo modo, si concilino nei fatti i due principi che regolano la questione della cittadinanza, lo jus sanguinis e lo jus soli, che smettono di essere astratte categorie giuridiche e diventano principi viventi di una sola civiltà da tutelare e sviluppare.
Sono certo, caro Mauro, che su queste cose vi è tra noi un consenso profondo. E poiché conosco la tua serietà e la funzione democratica che “ La Voce ” ha storicamente svolto, perché non aprire su queste cose un dibattito ampio e approfondito proprio sulle colonne del tuo giornale?
Per quanto mi riguarda, sono a pronto a dare il mio contributo, anche partecipando direttamente ad eventuali iniziative promosse per fare avanzare questa idea.In ogni caso, grazie per lo stimolo che ci hai dato e in bocca al lupo per il tuo importante lavoro.

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