quinta-feira, 17 de dezembro de 2009

L'ANNO CHE VERRA'

Perché e quando gli italiani sono passati ad essere il popolo più triste d’Europa e cosa fare per farli ridiventare quel popolo simpatico e cordiale che tutto il mondo ha conosciuto.


L’Italia è cambiata, non è più la stessa, non è più simile a sé stessa o – meglio – non è più simile all’immagine che tutti nel mondo abbiamo sempre avuto del Belpaese: l’Italia allegra e spensierata, il Paese del lieto vivere, della proverbiale cordialità e simpatia dei suoi abitanti non esiste più.
Una constatazione che sino a qualche tempo fa veniva fatta di solito dai nostri emigranti al loro rientro a casa, o al paese dei loro nonni o bisnonni; dov’era finito quel popolo allegro e ospitale, sempre pronto alla battuta e all’accoglienza sorridente e disinteressata? Oggi i primi ad ammettere questo cambiamento, questa vera e propria trasformazione o metamorfosi della loro maniera di essere sono gli stessi italiani. Sconsolatamente e con una certa rassegnazione.
Perché tutto questo è avvenuto e, soprattutto, quando è iniziato questo processo che ha trasformato nel giro di pochi decenni gli italiani dal popolo più felice a quello più pessimista d’Europa?
Per trovare una risposta e forse anche una data dobbiamo fare un salto all’indietro di circa trent’anni. Siamo nella seconda metà degli anni’70, quando esplode in Italia con tutta la sua virulenza il fenomeno del terrorismo. Attentati, sparatorie, sequestri di persona, sono all’ordine del giorno. Improvvisamente, in particolare nelle grandi città, si comincia ad aver paura di uscire la sera, di andare in luoghi affollati, si diventa sospettosi verso il vicino di casa o il collega da poco seduto nella scrivania accanto alla nostra.
I miei genitori rinunciarono all’ultimo momento di trasferirsi dalla Sicilia a Roma per paura; sì, la paura di perdere la sicurezza che una piccola cittadina di provincia poteva offrire ad una famiglia con figli in età scolare.
Sono anche gli anni del cosiddetto “riflusso”. Dopo la grande partecipazione democratica del dopoguerra, le conquiste sociali dei governi di centro-sinistra e l’euforia collettiva di studenti e lavoratori del sessantotto/sessantanove, la politica non è più di moda; entra in scena con irruenza il privato, entrano in crisi i ‘grandi miti’ collettivi.
In quegli anni Lucio Dalla, uno dei cantautori italiani più famosi anche all’estero, scrive una canzone intitolata “L’anno che verrà” nella quale descrive alla sua maniera e con la forza magica di musiche e parole sapientemente coniugate il clima di quel periodo. La canzone è una lettera ad un amico, scritta a pochi giorni dalla fine di uno di quegli anni bui e pesanti: “Caro amico ti scrivo – canta Lucio – così mi distraggo un po’, e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò”.
Dopo poche strofe ecco come il cantautore descrive il clima di quegli anni: “Si esce poco la sera, compreso quando è festa, e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra (…) e si sta senza parlare per intere settimane, e a quelli che hanno cose da dire di tempo ne rimane”.
In questi trent’anni l’Italia è cambiata e ancora di più sono cambiati gli italiani; agli anni del riflusso e del terrorismo sono seguiti gli anni di “mani pulite” e dell’ingresso del nostro Paese nell’Europa della moneta unica, con il passaggio dalla lira all’euro; un lungo periodo di scarsa crescita economica, di crescente disoccupazione e di difficile mantenimento per le famiglie italiane dei livelli di benessere ottenuti precedentemente. Fino ad arrivare ai tempi più recenti dominati dal “berlusconismo” e dal “leghismo”. Il partito di Berlusconi e la Lega Nord hanno in qualche modo incarnato meglio di qualsiasi altro movimento questo disagio e questa difficoltà del Paese ad uscire dalla spirale perversa nel quale è entrata negli anni ’80. Lo hanno fatto, a mio avviso, accentuando gli aspetti e gli effetti negativi di questa crisi, rafforzandone le tentazioni alla chiusura e all’isolamento del Paese e non le speranze di apertura e di cambiamento. La grave disattenzione di questi ultimi anni verso gli italiani nel mondo e le politiche severe e xenofobe in materia di immigrazione ne sono uno degli esempi più lampanti.
Eppure, nonostante questo scenario certamente non ottimista, come italiano non voglio perdere la speranza di vedere il mio popolo recuperare quei valori e quelle caratteristiche che nel corso dei secoli l’hanno reso simpatico, unico e inimitabile agli occhi di tutto il mondo. E voglio credere che questo miracolo si realizzerà anche grazie a tanti milioni di stranieri in Italia e di italiani nel mondo.
“L’anno che sta arrivando – concludeva la canzone di Dalla – tra un anno finirà; io mi sto preparando ed è questa la novità !”