quinta-feira, 26 de novembro de 2009

2011, 2014, 2016

“La rivoluzione del ceto medio”: così si apriva l’inchiesta dedicata da un grande quotidiano italiano al boom economico che nei prossimi anni sconvolgerà l’attuale classifica dei Paesi più ricchi e industrializzati. Grazie infatti alla crescita della ‘classe media’ e della relativa spinta ai consumi, i Paesi oggi definiti ‘emergenti’ come il Brasile, la Russia, l’India e la Cina guideranno insieme agli Stati Uniti e al blocco dell’Unione Europea l’economia mondiale.
Non è un caso che – dopo la vittoriosa candidatura brasiliana per organizzare la Coppa del mondo di calcio del 2014 - Rio de Janeiro abbia battuto in maniera così perentoria la concorrenza di Chicago, Tokyo e Madrid per le Olimpiadi del 2016: Stati Uniti, Giappone, e Spagna (unico paese europeo rimasto in gara fino all’ultimo) rappresentavano infatti il vecchio sistema economico mondiale, mentre il Brasile si è imposto anche per essere uno dei leader del Bric (i quattro paesi emergenti) nonchè il capofila di un continente che mai fino ad ora aveva avuto l’onore di ospitare una edizione dei giochi.
Il carisma internazionale di Lula, il nome e il prestigio di Pelè, la popolarità e l’appeal di uno scrittore come Paulo Coelho hanno fatto il resto, contribuendo non solo a portare a casa l’olimpiade ma più in generale ad affermare in maniera definitiva e direi anche plateale il peso ormai riconosciuto da tutti del Brasile nel nuovo scenario internazionale.
Questa vittoria è anche un po’ nostra; di noi italiani, dico.
No, non mi riferisco ai cinque importanti voti che la delegazione italiana ha riversato sulla candidatura di “Rio 2016” (magari sperando nel sostegno brasiliano a “Roma 2020”). Sto parlando della rivoluzione pacifica e democratica che lentamente ma inesorabilmente sta spingendo il Brasile lontano dalle secche dei Paesi in via di sviluppo, attraversando il complesso e contraddittorio cammino dei Paesi emergenti, per approdare infine al consesso dei Paesi maggiormente sviluppati.
Una rivoluzione segnata, come dicevamo all’inizio, dalla crescita netta e costante della classe media, all’interno della quale la popolazione degli oltre trenta milioni di italo-discendenti costituisce senz’altro una componente determinante.
Gli italiani, potremmo dire, dopo aver fatto la “Merica” hanno fatto il Brasile, questo Brasile che oggi si impone sulla scena mondiale riscuotendo successi e meritandosi il rispetto anche di quanti fino a pochi anni fa denigravano o addirittura sbeffeggiavano il gigante sudamericano.
Certo, le contraddizioni continuano ad esistere: le fasce più povere della popolazione sono ancora fortemente presenti nella composizione socio-demografica del Paese; le istituzioni sono ancora affette da fenomeni di corruzione frutto spesso di una mancata e necessaria riforma politica; infrastrutture precarie o inesistenti relegano grandi aree del Paese ad un ruolo subalterno rispetto alle zone più ricche e avanzate; burocrazia e dazi doganali a volte rendono lenta e difficile una piena internazionalizzazione del sistema con la conseguente apertura ai mercati esteri.
Tutti fattori critici che andranno affrontati con determinazione, soprattutto dal governo che succederà a Lula nel 2010, che avrà l’arduo ma entusiasmante compito di tradurre questa grande eredità politica ed economica in scelte precise di sviluppo economico e giustizia sociale.
In questo contesto il nostro Paese si prepara fin da adesso ad un appuntamento doppiamente importante: il 2011 sarà l’anno delle celebrazioni, in Italia e nel mondo, dei 150 anni dall’unità d’Italia; ma anche l’anno dell’Italia in Brasile, per il quale si stanno già ideando e prospettando una serie di importanti iniziative coordinate dalla nostra Ambasciata di Brasilia.
I 150 anni di storia italiana dovranno dare uno spazio adeguato al ruolo delle nostre comunità emigrate in tutti questi anni nei quattro continenti: una epopea che ha visto milioni di italiani lasciare la loro terra natale per avventurarsi in paesi e nazioni a loro sconosciuti; il lavoro, il sacrificio e le realizzazioni di questi emigrati costituiscono una delle pagine più amare ma anche più belle della storia ultracentenaria del Paese. In Brasile dovremo celebrare questa importante ricorrenza con un grande evento ed una serie di iniziative ad esso dedicate.
Contemporaneamente, l’anno dell’Italia in Brasile non dovrà ridursi ad una parata di delegazioni di carattere turistico-istituzionale o all’organizzazione di questa o quella iniziativa motivata dall’intento di fare vedere che “ci siamo anche noi”. Si tratta di una seria opportunità per consolidare una presenza spesso troppo frammentata e disorganizzata; un occasione quindi per fare davvero ‘Sistema’, mostrando le nostre eccellenze ma anche cogliendo qui in Brasile le reali opportunità di collaborazione economica e commerciale per le nostre piccole e medie imprese.
Obiettivi ambiziosi e che guardano ad un risultato di medio e lungo periodo, esattamente come fecero i milioni di nostri concittadini che qui iniziarono ad arrivare oltre un secolo fa: ambiziosi e lungimiranti, appunto.

Ricardo

Caro Ricardo,parabèns pelo teu blog, que nao conhecia !Vou me tornar um usuario/freguès das tuas notas.A proposito, por acaso tem mais fotos da visita de Lula em Italia (eu estavo com o Massimo D'Alema no encontro no Hotel Hassler Villa Medici...).Um abraço,Fabio Porta